Cronache dai Palazzi

“Protezionismo e isolazionismo non coincidono con il nostro interesse nazionale”, in sostanza al bando ogni forma di sovranismo, è stato questo il monito del premier Draghi di fronte alla platea del Meeting di Rimini.

Il premier ha inoltre rivendicato le scelte fatte in campo europeo e il grande valore rappresentato dalla scelta di Bruxelles e dagli Alleati di investire sulla crescita italiana, dando fiducia al nostro Paese. Un evento che non si ripeterà con facilità e il Pnrr è il frutto di tale fiducia ritrovata. Chiunque entrerà a Palazzo Chigi dopo le prossime elezioni del 25 settembre dovrà tener presente del lavoro fatto dal governo precedente, cercando di non sminuire la serietà e l’affidabilità raggiunta e anche per non deludere l’opinione pubblica europea per la quale il lavoro dell’esecutivo diretto da Mario Draghi rappresenta un faro. In pratica l’eredità di Draghi è un valore.

Sono state chieste a Draghi le linee guida del suo governo, i pilastri sui quali ha fondato il proprio operato e con il suo discorso Draghi ha sapientemente impartito una lezione a tutti i partiti. Un richiamo alla coerenza che non è sembrato assolutamente casuale, in una campagna elettorale che per tante dinamiche sembra porsi in contraddizione con la famigerata agenda Draghi, nonostante le innumerevoli acclamazioni e richieste di un vademecum.

In questo contesto così frastagliato occorrerà ritrovare la coesione, le diverse forze politiche dovranno necessariamente “ritrovare lo spirito di coesione nazionale” lo stesso spirito sul quale si è fondato l’esecutivo Draghi. Due anni fa, nel buio della pandemia, Draghi aveva messo al centro “speranza e ricostruzione” oltre all’urgenza di riscoprire “un comune sentire”; nel 2022 ha invece tratteggiato il percorso fatto fino ad oggi a Palazzo Chigi facendo un bilancio delle questioni nazionali e delle relazioni europee e internazionali, ha elencato una serie di suggerimenti ma senza risentimento per la sua esperienza di governo che sta per terminare, forzatamente in anticipo. Anzi. “Invito tutti gli italiani ad andare a votare – ha detto il premier Draghi – chiunque verrà eletto saprà preservare lo spirito repubblicano che ha contraddistinto la nostra azione, sono convinto che chiunque lo farà, perché il nostro è un grande Paese e gli italiani sanno reagire con forza e decisione ai momenti difficili”, ha sottolineato il presidente del Consiglio uscente. In questo contesto i giovani rimangono “la speranza della politica”.

Parole permeate da una sincera fiducia nella Nazione, negli italiani, nella politica, di destra e di sinistra senza distinzioni, l’essenziale è fare il bene del Paese, perseguire il bene comune. Il periodo storico che stiamo vivendo è di certo “un passaggio drammatico e le scelte di oggi segneranno il futuro del Paese”, ha ricordato Draghi sottolineando che solo con l’autorevolezza si può conquistare il rispetto altrui. L’Italia è comunque “un grande Paese”, e gli italiani sapranno reagire, ancora una volta, affrontando le sfide del presente tra cui quella delle urne.

Non occorre però sottovalutare dei punti fermi, in campo internazionale ed europeo: l’Italia è “ancorata alla Nato, al G7, all’Unione europea, al Patto atlantico”, occorre preservare un patrimonio di relazioni storiche, culturali, economiche e sociali di inestimabile valore, un patrimonio costruito nel corso di diversi decenni. Da qui la necessità di evitare posture geopolitiche controproducenti, isolazioniste, protezionistiche o addirittura sovraniste, che potrebbero ledere la fiducia nel nostro Paese. Tra l’altro si tratta di posture che non rispecchiano i valori italiani che “non coincidono con i nostri interessi, l’Italia non è mai stata forte quando ha deciso di fare da sola” mentre “il nostro radicamento nella Ue coincide con la visione dei nostri padri e dei nostri nonni”.

Draghi non ha inoltre trascurato i temi caldi da campagna elettorale. A proposito di flat tax ed eventuali condoni ha puntualizzato cosa ha messo nero su bianco il suo governo: “Abbiamo avviato la riforma della riscossione e ci siamo impegnati perché non ci fossero nuovi condoni prima del suo completamento, l’evasione non deve essere tollerata né incoraggiata. Ciò non vuol dire che non ci siano cose che potrebbero essere migliorate, anche in termini economici e in relazione con l’Europa. In particolare le attuali regole di bilancio dell’Ue “poco credibili e poco efficienti” in quanto tali “non permettono di gestire delle fasi di crisi, così come non permettono di costruire un necessario sovranismo europeo”. Si tratta di regole che andrebbero riviste magari alla luce di un debito “buono”, per un’Europa più solida e più forte di fronte ai big mondiali quali Cina, Stati Uniti e la stessa Russia con cui tanto si sta combattendo sul fronte del gas e che “brutalmente ha attaccato l’Ucraina, che dobbiamo difendere, viceversa non possiamo dirci europei”.

A proposito di gas nel 2024 potremmo dichiararci autonomi dalla Russia ma nel frattempo occorrerà realizzare i due rigassificatori programmati. Per quanto riguarda il Pil Draghi ha inoltre rimarcato che “secondo il Fondo monetario internazionale” quest’anno cresceremo più di Francia e Germania e, “nonostante ancora troppi precari e stipendi troppo bassi” il nostro tasso di occupazione è “arrivato a livelli che non si vedevano dal 1977”. Draghi ha anche rivendicato “il maggior calo del debito in rapporto al Pil in due anni dal Dopoguerra” e ha sottolineato che il suo governo non ha aumentato le tasse “se non per gli extraprofitti delle imprese energetiche”. Ed infine, per coloro che saliranno a Palazzo Chigi dopo il suo esecutivo ricorda che “ci vorranno scelte rapide, decise, autorevoli, perché con l’autorevolezza si ottiene il rispetto”. In ogni modo “la fiducia nel futuro è la nostra consapevolezza e sarà la nostra forza”, coscienti del “dove eravamo partiti” e del “dove l’Italia potrà andare”. Portare avanti una sostanziale progettualità, a partire dal Pnrr, e conservare la riconquistata credibilità internazionale sono molto probabilmente i binari fondamentali sui quali continuare a viaggiare per far sì che l’Italia continui ad essere “un grande Paese” fondato sul metodo e la fiducia, fiducia soprattutto nei giovani che dimostrano di voler fare politica animati da degli ideali, a prescindere dal colore politico.

Tutto questo mentre la platea di Rimini sembra non aver accolto con grande entusiasmo la proposta dei dem di estendere l’obbligo scolastico dalla scuola dell’infanzia fino alla maturità, quindi dai 3 ai 18 anni. “Dopo anni di tagli ci si scandalizza se si chiede un cambiamento radicale sulla scuola – è stata la dura risposta di Letta – è lì la vera falla nel sistema ed è lì che bisogna agire finalmente cercando di costruire il futuro di questo Paese”, ha ammonito il segretario dem. Un‘idea già realizzata in Francia da Macron ma che sembra non essere gradita da noi. Per il centrodestra e gli esponenti di Azione si tratta di una “idea burocratica”. “Stile sovietico” ha duramente dichiarato Mara Carfagna, mentre per Calenda l’obbligo dai 3 anni è inutile: “A parte Francia e Ungheria non ce l’ha nessuno”. Ed inoltre “il problema è che le scuole non ci sono. E non si può mettere un obbligo senza avere le strutture”.

Studi Invalsi sembrano aver comunque dimostrato che i bambini che hanno frequentato la scuola dell’infanzia raggiungono risultati scolastici migliori rispetto a coloro che non hanno frequentato la materna. Infine “è vero che i posti non ci sono per tutti”, come riconosce la sottosegretaria dem Anna Ascani, ma proprio per questo “le mamme devono pagare” e rendere le scuole “obbligatorie impegna lo Stato a concederle a tutti. È un investimento sui bambini ma anche per le famiglie e per agevolare il lavoro femminile”. Una misura che a molti è sembrata calata dall’alto ma che racchiude in sé molti temi sociali essenziali: il sostegno alla maternità, il lavoro delle donne, l’obbligo scolastico che oggi arriva ai 16 anni e non coincide con il conseguimento di un diploma.

La “prima cosa che dovremo fare sarebbe la legge di Bilancio e abbiamo chiaramente intenzione di farla entro i parametri richiesti”, ha invece affermato la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni intervistata dall’agenzia Reuters. Meloni ha inoltre spiegato che eventuali modifiche al Pnrr richiedono chiarimenti. “Sono molto cauta – ha affermato Meloni -. Nessuna persona responsabile, prima di avere un quadro completo delle risorse che possono essere investite, può immaginare di rovinare le finanze del Paese”.

A proposito di finanze e soldi spesi, la viceministra dell’Economia, Laura Castelli, ha dichiarato che “ci sono margini per un nuovo decreto per calmierare gli effetti del prezzo del gas”. I tecnici sono al lavoro e si dovrà “agire su due piani”. In primo luogo “va velocemente fissato un tetto al prezzo del gas”, a proposito del quale è in corso “una battaglia in sede Ue”. Il secondo piano riguarda il fronte nazionale e in particolare il costo di nuovi aiuti a imprese e famiglie.

La dura realtà delle imprese viene denunciata da Confindustria e Confcommercio. Sarebbero a rischio chiusura circa 120 mila aziende con una spesa salita di circa 33 miliardi nel 2022, il triplo rispetto all’anno precedente. “Il nuovo governo dovrà dare risposte immediate – ha ammonito il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli – accelerando soprattutto su Recovery fund energetico europeo e fissazione di un tetto al prezzo del gas”. Per il presidente di viale dell’Astronomia, Carlo Bonomi “nell’industria abbiamo casi di bollette decuplicate, non possiamo reggere. Solo nei primi sette mesi del 2022 la cassa integrazione straordinaria è salita del 45% rispetto a un anno fa e non abbiamo ancora visto il peggio: in autunno arriveranno nuovi rincari energetici, mentre l’inflazione dei mesi scorsi sulle materie prime continuerà a scaricarsi sui prezzi al consumo. Ci saranno seri problemi su redditi e potere d’acquisto delle famiglie. Il grido di dolore delle imprese fin qui è stato un pò ignorato, ma ora c’è urgenza di nuovi interventi”, ha sottolineato Bonomi.

In questo contesto così tumultuoso “i partiti devono essere responsabili, ma il governo deve agire”, questo governo, perché “aspettare il prossimo ci farebbe perdere due mesi e non possiamo permettercelo”, ha sottolineato Bonomi parlando di “terremoto economico” in atto. Occorre preservare e difendere il lavoro – in particolar modo in un momento in cui il nostro Paese cresce più di Francia e Germania – al quale sono particolarmente legati sia il tema del welfare (e degli ammortizzatori sociali) sia il tema della coesione sociale del sistema Paese.

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