Il Russiagate

Mentre Carlo Calenda accoglie trionfalmente due esuli di FI e proclama che vincerà, Matteo Renzi decide che vuol correre da solo. Per arrivare dove? Ma si sa, meglio essere il numero uno in un minuscolo partitino che il numero due, o tre, o quattro, in un partito consistente (siccome lo disse Cesare, da allora tutti si sentono importantissimi). I 5Stelle, in piena caduta elettorale e di immagine, litigano con sé stessi per il doppio mandato, una questione, immagino, ritenuta di vitale importanza per l’Italia e forse per il mondo. Altri infantilismi.

Ma è poco infantile, invece, l’ultima losca storia di Salvini: i rapporti con l’Ambasciata russa a proposito della crisi del governo Draghi. Rapporti che, nonostante le finte indignazioni, non è stata credibilmente smentita. D’altra parte, “La Stampa” è un giornale serio, Massimo Giannini uno dei nostri migliori giornalisti. Difficile che parlino senza solide prove. Questa brutta storia porta però al centro quello che a me pare il nodo centrale della destra: la sua collocazione internazionale. Giorgia Meloni si dichiara garante dell’appoggio all’Ucraina, e le credo, ma non si è sentita finora da lei una sola volta pronunziare le parole NATO e Unione Europea. Il mite Tajani ricorda di “aver servito la NATO in uniforme”, e blandamente sottolinea la fede europea di Berlusconi. La Gelmini e la Carfagna mostrano di non credere una parola e sbattono la porta.

Insomma, aprire le porte a questa destra significa far correre al Paese sul piano internazionale, che è poi quello che veramente conta, un rischio grave.

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