Elena Bucci: Il Nascondiglio di Boltanski e non solo

In occasione del primo anniversario dalla scomparsa di Christian Boltanski, l’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica lo ricorda con una drammaturgia originale di Elena Bucci, scritta a partire dal libro Il nascondiglio di Christophe Boltanski (nipote dell’artista) che narra una storia basata sulle memorie di famiglia. Elena Bucci è attrice, autrice, regista. Debutta e si forma nella compagnia di Leo de Berardinis e fonda e dirige, con Marco Sgrosso, la compagnia teatrale Le belle bandiere. Fra i riconoscimenti: Premio Ubu per gli spettacoli da lei scritti, interpretati e diretti, Premio Ubu per l’interpretazione in Riccardo III e Le regine di Claudio Morganti, Premio Hystrio – ANCT Associazione Nazionale Critici Teatrali, Premio Eleonora Duse, Premio ETI Olimpici del Teatro (ora Le Maschere del Teatro) per Le smanie della villeggiatura, Premio Hystrio Altre Muse, Premio Viviani, Premio Scenari Pagani alla compagnia. Dirige e interpreta per la compagnia testi classici come Macbeth di Shakespeare, Hedda Gabler di Ibsen, Antigone di Sofocle, Medea di Euripide, La locandiera di Goldoni, Santa Giovanna dei Macelli e L’anima buona del Sezuan di Brecht, e contemporanei come il suo Regina la Paura, Caduto fuori dal tempo di Grossman, La morte e la fanciulla di Dorfman e, diretti con Sgrosso, L’amante di Pinter, Delirio a due di Ionesco, Prima della pensione di Bernhard. Abbiamo avuto occasione di intervistare Elena Bucci.

Buongiorno, a guardare tutte le sue attività si resta sicuramente stupiti, attrice e regista, come si arriva e si fa per intraprendere questa carriera?

Aggiungerei che sono anche autrice e scrivo i miei spettacoli, visto che proprio quest’anno è avvenuta una sorta di fortunata congiunzione astrale per la quale sono riuscita a riportare in scena in diversi spazi, dall’Arena del Sole di Bologna al Teatro Grande di Pompei, quasi tutte le mie drammaturgie. Dopo decenni di timidezza, nei quali mi sono spesso nascosta anche sotto nomi fittizi, ho trovato il coraggio di espormi ed è stato molto bello. Così ho ritrovato tra gli altri lo spettacolo Bimba, su Laura Betti e Pasolini, poi Nella lingua e nella spada sulla storia e le opere di Oriana Fallaci e Alekos Panagulis e Autobiografie di ignoti, presentato in diretta su Radio 3. La regia è sempre andata di pari passo al mio lavoro di attrice, anche perché ho avuto la fortuna di entrare a poco più di vent’anni nella compagnia di Leo De Berardinis, con il quale ho avuto una straordinaria esperienza di formazione. Con lui non potevi lavorare se non acquisivi una tua autonomia creativa, lui ci forniva strumenti indispensabili, ma pretendeva che ci preparassimo ad essere pronti a improvvisare, ad essere autori, educandoci al rigore nell’approccio e alla libertà nell’osare, coltivando in noi l’attitudine alla creazione. Nei nostri primi laboratori mi venne istintivo dirigere altri attori e farli entrare in un mondo immaginario che io stessa scoprivo con loro.

Lanciarsi in questa attività di regia può quindi essere anche un modo di vincere la timidezza?

Assolutamente sì! Io penso che il teatro, come tutte le arti, abbia un grandissimo potere terapeutico. Ma insisto sempre a dire che le arti andrebbero praticate per tutta la vita, sia in maniera professionale per chi ha doti e volontà, sia in modalità amatoriale o da spettatore, visto che ognuno di noi ha i suoi particolari e unici talenti. Trovo che sia un grave errore che la pratica dell’arte sia relegata solo ai primi anni scolastici, credo sia una cosa che fa male alla società.

In questi anni poi ci sarebbe tanto bisogno di arte, potremmo dire che non ce n’è mai abbastanza.

Certamente, anche se ci tengo a specificare che il praticare tutti arte e conoscerne le proprietà terapeutiche, non significa che si possa mandare in scena qualsiasi cosa. Va sempre sorvegliata la qualità e va valutato il giusto contesto per integrare e non confondere le diverse esperienze artistiche.

Ho la fondata impressione che l’arte sia cambiata, passando dalla parola, che ha sempre meno peso, all’immagine, i media che vanno per la maggiore adesso sono le foto e i brevissimi video.

Penso che sarebbe bello allontanare il pensiero, l’ansia, che ogni cosa nuova debba per forza sostituire una esistente invece di conviverci creando un mondo più ricco di sfumature e varietà. Allo stesso modo flora e fauna più recenti e aggressive rischiano di cancellare preziose biodiversità del pianeta. Questa pratica, ossessionata dal nuovo, porta a disperdere il piacere di godere della dialettica, del patrimonio del passato, della ricchezza della diversità. Siano benvenuti i video e le immagini con la loro diffusione di massa, purché siano originali e carichi di contenuti e non solo veicolo pubblicitario, ma non vedo perché dovrebbero cancellare la bellezza della parola e altre modalità di condivisione del suo mistero.

In questi tempi moderni stiamo privilegiando l’immediatezza rispetto la persistenza, fra 10 anni quanti si ricorderanno di una foto o un video postati oggi? Al contrario di foto come quelle di Steve McCurry o Robert Capa, oppure opere teatrali, letterarie, cinematografiche, che sono senza tempo.

Nonostante la velocità del consumo, anche di arte, indotta dai meccanismi di un sistema capitalistico legato alla quantità piuttosto che alla qualità, credo che ci sia sempre e comunque la necessità di attingere a qualcosa che viene dal patrimonio del passato, da uno studio, da una creazione, da un ragionamento profondi. Per questo sarebbe importante non dimenticare di praticare le arti combattendo ogni forma di analfabetizzazione e banalizzazione. Pare che vincano le situazioni dove tutto sembra facile e a portata di mano, ma le felicità vengono anche dal raggiungere obiettivi che, pur essendo alla portata di tutti, necessitano di una scoperta, di uno studio di quello che ci ha preceduto, di un cammino individuale e sempre diverso per ognuno.

Venendo al motivo del nostro incontro, la commemorazione della strage di Ustica, come si è avvicinata a questo evento?

Innanzitutto, c’è una grande vicinanza e simpatia per tutte le persone che tengono viva questa memoria in particolare e la memoria di fatti importanti che segnano la storia del nostro paese e del pianeta, che evidenziano come la storia sia strettamente intrecciata alla vita delle persone, cosa che risalta nelle opere di Christian Boltanski. Attraverso la sua opera per il Museo di Ustica, Boltanski avvicina tutti, in modi diversi, alla tragedia, portando le persone a immedesimarsi in altri destini attraverso le arti. Questo processo ci fa sentire di nuovo fratelli di fronte ai misteri della perdita e del dolore e dovrebbe aiutarci a connettere la storia con il presente e il futuro.

E ora veniamo invece a Christophe Boltanski che presenta qui a Bologna.

Christian Boltanski costruì un’installazione qui a Bologna nel Museo di Ustica, mentre io mi sto occupando di un libro del nipote di Christian, Christophe Boltanski. Il libro non c’entra nulla con la vicenda di Ustica, ma è legato alla figura di Boltanski e alla storia della sua famiglia. Attribuisce un grande valore al racconto delle biografie avvicinandosi molto al senso profondo dell’opera dedicata al Museo di Ustica, che allude con grande rispetto e discrezione al romanzo nascosto in ogni vita. Nel libro si parla di Christian, della famiglia e degli spazi che hanno diviso nella quotidianità, si affrontano anche questioni legate la natura dell’artista e a quella sensazione di perdita dei luoghi e delle persone amate che spesso genera opere d’arte e che tutti conosciamo. Il libro da valore a quell’insieme di racconti e ricordi che vanno a comporre il quadro della nostra vita, a colorare i luoghi dove viviamo, sia Christian che Christophe hanno un particolare talento nel creare arte dal quotidiano.

La vicenda narrata da Boltanski nel suo libro, gli abitanti chiusi in casa, richiama le persone chiuse nella carlinga dell’aereo?

Non c’è nessuna diretta allusione, ma trattandosi della narrazione dei particolari della vita di una famiglia e dei suoi componenti, non possiamo non pensare alle innumerevoli ricchezze delle vite delle persone spente tutte insieme in quell’aereo, non possiamo non unirci nello sgomento per la perdita di ciò che amiamo. In questo caso il mistero ancora insoluto sulle cause di questa tragedia amplifica il rimpianto e la sofferenza, impedendo la pace che arriva dall’elaborazione del lutto. Non presenterò uno spettacolo teatrale, ma una lettura in musica, al pianoforte ci sarà Fabrizio Puglisi e Raffaele Bassetti agli interventi elettronici. Per avvicinarmi ad un libro mi sembra la via più rispettosa e giusta, visto che amplifica l’immaginazione mia e del pubblico, attraverso la potenza del suono e un’immagine sintetica che concentra e non disperde. Mi piace molto e mi insegna tanto dedicarmi a spettacoli che si ispirano a biografie di persone note o sconosciute che non ci sono più. Fatti e documenti amplificano la fantasia.

Possiamo aspettarci anche uno spettacolo teatrale su questo in futuro?

In questo caso sarà una lettura in musica; potrà forse diventare uno spettacolo teatrale in futuro. Ogni evento con il pubblico aiuta a capire come procedere nel progetto.

Progetti futuri?

Sta passando ancora su Radio 3, grazie al successo ottenuto, lo spettacolo “Autobiografia d’ignoti”. Devo realizzare una lettura in musica su Chopin in occasione del premio che Emilia Romagna Festival vuole assegnarmi il 6 agosto, poi tornerò su Pasolini per una rassegna in Toscana; infine sto preparando un progetto, “Risate di gioia” che unisce Emilia-Romagna Teatro e Centro Teatrale Bresciano e ha come oggetto il racconto di storie di gente di teatro, biografie di gente di teatro a partire da quelle dei grandi artisti del teatro ottocentesco per arrivare al Novecento, al varietà, e alla grande trasformazione dovuta al cinema e alla televisione.

[NdR – Si ringrazia l’ufficio stampa di Bologna Musei per l’assistenza e disponibilità]

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