Quando si diventa vecchi?

Tra i concetti che sono soggetti ad una maggiore applicazione del concetto di relatività, quello di vecchiaia è decisamente uno dei più toccati. Un quindicenne è decisamente vecchio se una mattina si svegliasse e, senza essersi mai allenato, decidesse di vincere la finale olimpica dei cento metri piani o di stile libero. Un calciatore di trentacinque anni una volta era vecchio e oggi in non pochi giocano egregiamente fino ai quaranta e oltre. Un quarantenne che non ha studiato possiamo considerarlo vecchio per iniziare a studiare medicina e inserirsi nel mondo del lavoro ad un’età utile non solo per il collocamento del mondo del lavoro, ma anche per maturare la pensione. Un ricercatore o uno studioso giunti ai settanta possono avere davanti a loro addirittura venti anni di attività produttiva e, magari, migliorarsi.

Quello dell’età pensionabile è sempre stato considerato un punto di riferimento per individuare la terza età, quella a cui si usava la parola vecchio senza il timore di essere considerati politically not correct e, in tal senso, il limite dei sessantacinque anni era quello accettato dall’opinione comune e dalla maggioranza.

Siamo davvero lontani, inoltre, da raggiungere tutti un’età da primato e avere una società in cui il secolo di vita sarà una regola? Il mito della giovinezza eterna è oltre il tradizionale Faust e gli esempi di persone che sono in perfetta salute e piena attività fisica, oltre che mentale, oltre i settanta danno un’immagine del futuro rosea per chi ha la fortuna di invecchiare.

Premesso infatti che oggi un sessantacinquenne a cui viene dato del vecchio potrebbe reagire prendendo a pugni l’autore dell’offesa, diciamo subito che questa età spartiacque di vecchiaia venne indicata da Otto Von Bismarck come ideale per il pensionamento. Il calcolo era degno della fine mente del cancelliere tedesco in quanto tutti i suoi avversari politici, quasi tutti impiegati governativi, l’avevano raggiunta o vi erano prossimi per suggerire loro un comodo ritiro. Per dovere di precisione l’età per il pensionamento in Germania venne fissata a 70 anni nel 1889 e portata a 65 nel 1916 quando la vita media era di 37 anni per gli uomini e 41 per le donne.

Oggi l’età media non solo si è alzata e l’aspettativa di vita è superiore agli ottanta anni per uomini e donne, ma è anche in aumento il numero di settantenni che ancora hanno energia e voglia di fare ben superiore a quella di molti ventenni che, in attesa di entrare nel mondo del lavoro, trascorrono il loro tempo davanti allo schermo di un device in attesa che si liberi qualche posto nel mondo del lavoro da chi ha ancora forza e vigore ad un’età alla quale, in passato, giungevano in pochi e già con malattie o un fisico provato dall’attività lavorativa. Immaginiamo le condizioni e gli strumenti di chi lavorava i campi in passato o di un muratore.

Oggi i contesti che si presentano nell’era della tecnologia digitale impongono e imporranno sempre più di tenere presenti le diverse modalità con cui l’uomo si approccerà al mondo del lavoro. È una questione di cui dovranno tenere conto governi e legislatori. Giovani che accedono sempre più tardi ad un impiego e anziani che vi rimangono più a lungo e, successivamente, con una maggiore aspettativa di vita, saranno presenti nei bilanci degli enti pensionistici. Frasi fatte, ma concetti di cui tenere conto se già nel 1990 in Germania gli ultrasessantacinquenni avevano superato il numero dei ventenni.

Dovrà essere verosimilmente ripensato un sistema sociale, di previdenza, di mondo del lavoro anche in base all’età media e alle aspettative di vita delle persone, è un dato di fatto con cui confrontarsi.

Se nell’antica Roma, una volta superati i dieci anni l’aspettativa media di vita si attestava tra i 50 e i 60 anni nel medioevo un inglese che giungeva ai 21 ben poteva giungere a spegnere 64 candeline. Oggi un neonato ben può sperare di giungere almeno ai fatidici ottanta e stiamo parlando della quasi totalità del Pianeta.

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