Ogni promessa elettorale è debito pubblico

“La maggior parte della gente che legge il Manifesto del Partito Comunista di solito non sa che è stato scritto da un paio di giovani che non avevano mai lavorato un giorno nella loro vita e che tuttavia parlavano nel nome dei lavoratori“.

L’osservazione è di uno dei maggiori economisti e sociologi troppo poco conosciuti in Italia: Thomas Sowell. Nero, nato nel 1930 nel North Carolina, Stato del sud, e cresciuto ad Harlem: due luoghi che con sicurezza hanno contribuito a formare la personalità di questo studioso che aderendo in passato a teorie marxiste, si è in seguito spostato su posizioni decisamente liberali schierandosi apertamente contro il presidente Obama.

Avere ottime idee è un’attività interessante e che in molti ritengono poter svolgere attendendo che qualcuno si accorga della bontà delle stesse e li chiami a realizzarle. In teoria è possibile ma, in pratica, molte volte chi pensa si limita alla fase creativa e non si sofferma sugli ostacoli che può incontrare e sulle sue capacità di realizzarle: dedicandosi ad un’attività intellettuale, non vuol dire essere consapevole dei problemi reali che si incontrano quando è il momento di passare ai fatti. E il primo dei problemi potrebbe essere addirittura quello di raggiungere l’interlocutore giusto perché il linguaggio e i concetti usati non sono alla portata del destinatario, magari perché troppo evoluti.

L’esempio portato da Sowell è emblematico, Nel 1948 il trentenne Marx e il quarantenne Engels, appena dato alle stampe il loro Manifesto, non avevano trascorsi da lavoratori proletari, vale a dire le categorie a cui si rivolgevano per creare in loro la consapevolezza dell’appena nato pensiero comunista formare una coscienza di classe a chi non si rendeva conto di appartenervi. Non dimentichiamo che Lenin e Stalin si formarono rispettivamente in ambienti borghesi e in seminario.

Purtroppo, la storia si ripete ed i moderni politici, che sono ben lungi dall’avere una cultura di base di quella che avevano i personaggi citati, si caratterizzano per avere idee che non derivano dalle loro esperienze personali, dal loro vissuto lavorativo e, meno che mai, da un’analisi della reale fattibilità di un progetto ovvero dalla sua sostenibilità economica.

Ma se i creatori di idee non sono consapevoli dell’irrealizzabilità delle stesse, purtroppo, oggi ci imbattiamo nella concreta possibilità che, una volta messe in rete, idee utopistiche se non assurde o addirittura dannose, possano trovare una vasta eco e creare una base sufficiente a diventare piattaforma elettorale.

È quanto accaduto con il presidente Venezuelano Chavez che, eletto su basi populistiche, cadde negli errori dei suoi predecessori fino a rendere uno dei Paesi più ricchi al mondo di petrolio uno dei più poveri la cui moneta era divenuta carta straccia. Lo vediamo in Italia, dove a frasi ad effetto quali “abbiamo abolito la povertà e eliminato la corruzione” troviamo una legge che ha permesso a criminali di ottenere sussidi mentre quella sulla prescrizione è in attesa della mannaia da parte della Corte Costituzionale. Stesso discorso vale per chi propone un abbattimento di emissioni inquinanti del 40% salvo non dire su quale parametro intende basarsi.

Oggi i sistemi di comunicazione sono immediati, rapidi e richiedono slogan che devono fare immediata presa sul potenziale elettore che non ha né il tempo né la voglia, ed anche la capacità, di ascoltare e assimilare un messaggio strutturato e sufficientemente chiaro che dovrebbe essere un programma politico. Facile quindi per il sobillatore politico di turno usare una frase ad effetto quale “in galera e buttare la chiave” ed evitare un confronto con chi vorrebbe spiegare che l’ergastolo si pone in contrasto con il principio costituzionale della pena rieducativa che porterà probabilmente a breve ad un referendum sull’argomento. Non si vedono discorsi politici già accompagnati da proposte di legge magari con una copertura finanziaria già individuata. Il rischio è che possano emergere e giungere nelle stanze dei bottoni soggetti impreparati, politicamente e tecnicamente, accompagnati da una forte base popolare che non potranno mantenere le promesse o creare danni e far diventare vera la frase secondo cui ogni promessa elettorale diventa debito pubblico.

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