Social, il prodotto in vendita sei tu

Internet non è un luogo fatto solo di social. Sembra una frase banale, scontata, inutile, ma è un qualcosa su cui dovremmo ogni tanto soffermarci. La circostanza che la maggior parte del tempo trascorso online è dedicato agli aspetti ludici entrati nel nostro quotidiano nella forma online che, per qualcuno, ha sostituito l’incontro di persona, non deve farci dimenticare che internet, la rete, è fatta di molti aspetti che l’invasività e la predominanza dei social hanno messo in secondo piano. In internet possiamo informarci, leggendo non solo news ma anche tutti i libri mai scritti in ogni possibile lingua; possiamo usarli per lavoro, per far conoscere le nostre aziende, per giocare, oggi anche per convegni e conferenze; la pandemia ha probabilmente solo accelerato in una direzione univoca e scritta nell’ordine delle cose.

Non è passata un’eternità da quando siamo entrati nell’era dell’internet 2.0, quella che ha permesso l’interazione diretta online con la possibilità di utilizzare blog, chat, creazione di contenuti e tutto ciò che ha permesso agli internauti di diventare creatori di contenuti e non semplicemente utilizzatori, visitatori passivi delle pagine di aziende che usavano la rete come strumento pubblicitario. I social network hanno rappresentato l’ultimo definitivo passo senza ritorno verso un’esistenza online senza la quale ci sembrerebbe di piombare in uno strano medioevo che, soltanto venti anni fa, era il quotidiano.

Queste, probabilmente ovvie ma poco considerate osservazioni, vengono dopo la lettura di un istruttivo libro di Jaron Lanier dal significativo titolo “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social” nel quale uno dei pionieri della Silicon Valley, per molti aspetti pentito, spiega alcuni ottimi motivi per uscire dai social e riprenderci la nostra libertà da condizionamenti che, per loro stessa natura, i social hanno insiti in loro.

La circostanza che sui social si entra ufficialmente a titolo gratuito dovrebbe del resto far riflettere su una frase caposaldo del marketing: “se te lo offrono gratis il prodotto sei tu”. E ne sa qualcosa Facebook che, dopo una sentenza del TAR del Lazio ha dovuto modificare la frase di benvenuto che campeggiava sulla sua home page che “informava” il nuovo utente che iscriversi era gratuito e lo sarebbe sempre stato. Oggi chi accede per la prima volta alla piattaforma di Mark Zuckerberg è reso edotto semplicemente che l’iscrizione è veloce e semplice; il pagamento viene effettuato con i dati personali che, gentilmente e inconsapevolmente, mettiamo a disposizione delle aziende, i veri sponsor dei social, che ne fanno oculato uso profilando ogni nostro comportamento online per offrirci i loro prodotti. Il risultato delle nostre ricerche su Google non è infatti il migliore per l’utente che, purtroppo, ha l’illusione di vedersi offerto il miglior prodotto sulla base delle sue esigenze. In realtà ciò che compare al primo posto della lista  offerta dal motore di ricerca è il prodotto dell’azienda che ha offerto di più per emergere tra le tante che possono offrire lo stesso bene o servizio. Si chiama real time bidding, asta in tempo reale, ed è quella che si scatena ogni qualvolta un utente inizia una ricerca.

Tutto ciò è il risultato dell’attenta pianificazione strategica ed il marketing invadente e ben mirato di chi paga in denaro per l’utilizzo dei social, chi paga con un bene che vale molto di meno dei nostri dati personali. In conclusione dovremmo seguire il consiglio di abbandonare i social? No; sono uno strumento utile e, forse, ormai indispensabile nell’epoca della rivoluzione digitale. Servono a socializzare, scambiare opinioni e quanto altro utile e necessario. Importante sarebbe per ogni utente  creare una consapevolezza che permetta di fare un uso corretto delle grandi opportunità che derivano dalla rete. Il rischio che si corre? Non è solo quella delle dipendenze da social e della perdita di interazioni con il reale, ma anche quello di credere che sui social si svolga la vita reale e vivere di fake e falsi profeti.

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