Chiara Tronchin (FLM): lavoro femminile in Europa

È ricercatrice della Fondazione Leone Moressa; esperta di statistica, analisi quantitativa e qualitativa; partecipa alla realizzazione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione dal 2014; collabora con Lavoce.info, Il Mulino e Neodemos.it; nel 2015 ha partecipato alla commissione di studio del Ministero dell’Interno che ha portato alla redazione del Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia. Stiamo parlando di Chiara Tronchin che abbiamo intervistato per il nostro giornale.

Dott.ssa Tronchin, lei ha contribuito a realizzare questo indice di valorizzazione europea del lavoro femminile; se lo dovesse spiegare ai non addetti ai lavori, come lo definirebbe.

Si tratta di un indice che raggruppa più variabili con lo scopo di evidenziare quale nazione riesce a valorizzare meglio il potenziale femminile. Valorizzare il potenziale e l’occupazione femminile vuol dire anche aumentare la natalità di una nazione. Questo perché oggi i modelli famigliari sono cambiati, così come sono variate le esigenze, quindi se prima del 2000 la mancanza di un lavoro non remunerativo permetteva alle donne di occuparsi della prole, oggi non si fanno figli non si ha un lavoro. Le nazioni con i più alti livelli di occupazione femminile, hanno anche tassi di fecondità più elevati. In questa classifica europea l’Italia è al penultimo posto a causa delle poche opportunità lavorative date alle donne.

Nella crisi economica 2008-2009, quella conosciuta come Lehman Brothers, l’occupazione femminile ne risentì meno in quanto i servizi furono la parte meno colpita nel mondo economico, cosa che si è ribaltata nella crisi attuale. Stando ai recenti dati Istat, su 101.000 posti di lavoro persi in questo inizio anno, ben 99.000 erano in carico alle donne. Forse perché nella crisi covid19 sono i servizi ad avere patito di più?

Sì, i servizi sono stati i più colpiti con 457 mila occupati in meno rispetto al 2019 (-2,8% degli occupati), in particolare sono stati gli alberghi, ristoranti ed il commercio a registrare la flessione maggiore (-5,8%). L’80% delle donne trova occupazione nei servizi in senso ampio, contro il 59% dei maschi. Questo ha portato ad una flessione del tasso di occupazione femminile, se già nel 2019 nella fascia 16-64 anni era pari al 50,1% (solo una donna su due lavorava). Questa percentuale nel 2020 si è abbassata al 49%.

Ho trovato molto interessante nel suo studio la correlazione lavoro-natalità, forse le donne che lavorano hanno maggiore sicurezza nel futuro, si sentono più realizzate e quindi sono maggiormente portate a fare figli?

Questo effetto positivo è causato da un circolo virtuoso; l’occupazione femminile genera altra occupazione femminile risultando un moltiplicatore per l’economia del paese. Le donne occupate hanno bisogno di servizi che vanno dai servizi di cura (bambini, anziani) ai servizi legati alla gestione della casa o al cibo già pronto. Di conseguenza generano nuovi posti di lavoro, tutti posti di lavoro ricoperti in maggioranza da altre donne. Maurizio Ferrera nel suo “Il fattore D”, dimostra come per 100 donne che entrano nel mercato del lavoro, si creano 15 nuovi posti di lavoro per la nuova richiesta di servizi. Una situazione economica più stabile, porta ad una maggiore natalità e ad un nuovo bisogno di servizi, da qui il circolo virtuoso.

La differenza tra nord e sud, tra nord Europa e Italia, riflette anche un certo tipo di cultura latina che assegna valori diversi alla donna?

Ogni comportamento è frutto della cultura in cui si vive, in Italia per motivi culturali è presente un welfare mediterraneo. Ovvero i servizi di cura sono principalmente gestiti dalla famiglia, ed in particolare dalla donna. Sono molte le donne che ancora oggi lasciano il lavoro appena diventate madri per la mancanza di servizi o perché i servizi sono troppo onerosi. Nel nord Europa vi è una maggiore parità di genere, è più facile che un uomo resti a casa a badare i neonati ed accanto a questa parità di “cura” esistono dei servizi accessibili che aiutano i genitori nella gestione dei figli. Esiste in questi paesi la capacità di considerare il “bambino” un bene per tutta la comunità e non un interesse privato. In Italia si considera la famiglia come fulcro della gestione dei bambini, in mancanza dei nonni tutto ricade sulla donna, che o lascia il lavoro o ripiega su una forma di part-time.

Rimane il problema che viene chiamato “Oltrepassare la porta di vetro” per le donne, ovvero passare alle posizioni apicali esecutive. La legge Golfo-Mosca ha sì introdotto la quota rosa nei cda delle società quotate, ma a livello di amministratori delegati questo si è tradotto in poca cosa. Cosa pensa si possa fare per aumentare il tasso dirigenziale della donna nel mondo del lavoro?

Credo che le quote possano essere utili nel breve periodo per cercare di rompere il soffitto di cristallo, l’importante è che i nuovi posti “apicali” siano occupati da donne capaci ed in Italia ce ne sono molte. Ma quello che serve veramente è un cambiamento culturale, che probabilmente avverrà ma temo ci voglia ancora molto tempo. Il cambiamento deve iniziare dall’asilo, dando a tutti i generi le stesse possibilità e prospettive, non parlando di conciliazione ad una e di successo professionale all’altro. Ognuno indipendentemente se uomo o donna deve prendersi carico in uguale misura della gestione della casa e della famiglia, dedicando lo stesso tempo al lavoro fuori casa. In questo modo non si dovrà più parlare di quote “rosa”, ma i posti apicali saranno occupati da chi ha le maggiori competenze.

Vuole aggiungere qualcosa?

L’indice che abbiamo elaborato si rappresenta meglio su due assi cartesiani. Nel quadrante in alto a destra rientrano i Paesi che riescono a valorizzare maggiormente la componente femminile. Ciò significa che in questi Paesi le donne entrano nel mercato del lavoro e non solo, riescono a coprire ruoli di prestigio ed a conciliare lavoro e famiglia. Qui troviamo paesi come la Svezia, la Germania, il Belgio, i Paesi Bassi. Nel quadrante in basso a destra, abbiamo i paesi che hanno un elevata occupazione femminile, ma in ruoli secondari e in questa area si collocano l’Ungheria, la R. Ceca e la Polonia. Situazione più critica per la Grecia che a bassa occupazione si registra anche bassa partecipazione femminile. Paesi come Italia e Spagna hanno forte difficoltà a livello occupazione, che si traducono in bassa natalità. La presenza di part time è legata nella maggior parte dei casi al part time involontario ed è elevata la percentuale di donne inattive o disoccupate.

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