Dieci anni senza Mario Monicelli

Esattamente dieci anni fa decise di lasciarci Mario Monicelli e chissà quali e quanti spunti avrebbe tratto da questo 2020 per mettere su pellicola un anno così particolare. Forse avrebbe trovato spunti per inserirvi qualche zingarata di un gruppo di amici che si trovano per ammazzare la noia e la melanconia. Avrebbe potuto sceneggiare all’interno di abitazioni chiuse in questa folle quarantena spaccati di vita italiana, come ha fatto in Parenti Serpenti, uno dei quadri più vividi, e dalle fosche tinte, che descrivono questo italiano medio sempre in lotta anche con se stesso. O forse avrebbe trovato un Brancaleone che avrebbe pugnato contro lo morbo che viene da terra straniera. In tutti i suoi film, in tutti i suoi personaggi, Mario Monicelli ha saputo inserire e far risaltare uno dei tratti dell’italianità, di quell’italiano medio tipico, forse stereotipo, portato in scena dai più grandi attori del nostro cinema.

La sua carriera iniziò ad appena diciannove anni, come coregista de I ragazzi della Via Pal. In un giudizio che dette su questo film, anni dopo, disse che lo considerava un film ben fatto che parlava dei suoi coetanei, quindi di lui. Poco importa che nel libro di Molnar i protagonisti fossero più giovani, ma Monicelli li vedeva come suoi amici, come se fosse seduto con loro sui banchi e sulle barricate di legno. Ed in tutti i suoi film Monicelli ha parlato sempre un po’ di sé, portando la sua personalità nelle pellicole come una costante presenza accanto ai protagonisti. E’ facile vederlo tra il Necchi e il Conte Mascetti mentre fanno la supercazzora allo sventurato di turno, oppure seduto nel fango, nelle trincee sul Carso e sul Piave, a dividere un pessimo rancio con i suoi commilitoni nel terrore di un possibile attacco austriaco. Monicelli è riuscito a caratterizzare epoche profondamente diverse ma sempre tenendo presente quel tipico essere italiano che, negli anni, ha avuto le fattezze di Totò che ha diretto all’inizio della sua opera in coppia con Steno, Di Vittorio Gassman, impavido cavaliere senza il cui volto è difficile immaginare il personaggio di Brancaleone. Da ultimo è stato Paolo Villaggio il protagonista di una toccante storia italiana che, smessi i panni fin troppo abusati di Fantozzi, ha offerto una prestazione di altissimo livello in Cari fottutissimi amici.

Considerato tra i padri della commedia all’italiana con film come I soliti ignoti e Un eroe dei nostri tempi, Monicelli ha sicuramente contribuito al successo del genere grazie al rapporto con gli attori che l’hanno caratterizzata: oltre a quelli citati fino ad adesso non possiamo dimenticare i ruoli costruiti su Alberto Sordi che ne La Grande Guerra impersona alla perfezione i difetti del tipico italiano che prima cerca di evitare in ogni modo ogni semplice fatica ma che, alla fine, davanti alla morte, trova il suo orgoglio. Orgoglio che sembra invece mancare al Marchese del Grillo che, dall’alto della sua ricchezza, sicumera e consapevole di essere un intoccabile, si permette di tutto fino a quando, nel finale, sembra preoccuparsi della fine del povero carbonaio destinato alla morte.

Sordi e Monicelli hanno anche però messo la parola fine alla commedia all’italiana con Un borghese piccolo piccolo. Finite le epoche del boom, del ridere, del miracolo italiano, di simpatici sprovveduti che pronti al colpo del secolo finiscono sui giornali per avere rubato pasta e ceci, non resta che prendere atto di un triste nuovo mondo e di un contesto in cui è difficile sopravvivere. Lo sa bene il padre del giovane che rimane ucciso in una rapina e compie un gesto che nessuno dei suoi predecessori nei film di Monicelli avrebbe fatto. Si erge a giudice e giustiziere. Monicelli avverte che è ormai passato il momento di ridere. Lo farà ancora, in Amici miei – Atto II in un triste finale dove però, non ci si arrende di fronte all’inevitabile.

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