Patologie in Rete

L’era digitale ha le sue patologie specifiche e che si sono sviluppate insieme di pari passo con gli strumenti tecnologici e i social. Incredibile? No, se pensiamo alla semplice ansia che ci attanaglia quando ci rendiamo conto, prima ancora che la giornata sia giunta a metà, che le batterie del nostro cellulare stanno per esaurirsi. Il passo successivo è quello di ammalarsi di Internet Addiction (IAD), da non confondersi con un uso intensivo del computer; questo lo abbiamo almeno un po’ tutti noi che lo usiamo per lavoro. La IAD è una vera patologia che affligge una percentuale di utenti internet stimata tra l’uno e il nove percento. Non una vera minoranza perché quando scopriamo che ne potrebbero essere colpiti un minimo di quaranta milioni di persone nel mondo fino ad un massimo di quattrocento milioni. Cinque volte la popolazione di New York o quattro volte quella della Russia.

Questa forma di dipendenza si manifesta con uso eccessivo del computer associato a perdita della cognizione del tempo; con il trascurare sonno e alimentazione, una chiusura verso il mondo esterno e un conseguente deterioramento dei rapporti umani e personali, e, non ultima, una continua, ricerca di nuove tecnologie e strumenti per la navigazione. Conseguenze ulteriori anche costante stanchezza e perdita di produttività nel lavoro o nel rendimento scolastico. Aggiungiamo a questa dipendenza altre due patologie che non esistevano prima della rivoluzione digitale: la No Mobile Fobia (No Mo. Fobia) che è la paura di rimanere senza connessione alla rete mobile e la Fear Of Missing Out (FOMO), che è la paura di perdersi qualcosa ed essere tagliato fuori. Non occorre essere grandi psicologi per rendersi conto che sono patologie più frequenti fra i giovani e, specialmente la seconda, connessa all’utilizzo dei social. E’ del resto tipico dei giovanissimi il terrore di essere sclusi dai contesti sociali in cui manifestano la loro personalità.

I casi estremi purtroppo già esistono e vengono alla mente immagini quasi virali in internet di bambini che letteralmente sono preda di crisi isteriche quando i genitori distruggono i loro computer o giochi elettronici e la vicenda, di un’intera famiglia salentina che ha vissuto due anni chiusa in casa schiava della dipendenza da internet. Sn ne accorsero gli insegnanti della figlia minore, che non si sottraeva al dovere di andare a scuole e unica a prendersi cura dei genitori e del fratello che non abbandonavano i monitor neppure per le normali necessità quotidiane. Il fenomeno non sembra destinato a diminuire e avanziamo forti dubbi che gli afflitti da questa patologia trascorrano il tempo su siti di lettura, informazione, cultura.

Altri inquietanti fenomeni sotto l’occhio di tutti li vediamo ai tavoli dei ristoranti, dove tutti i commensali smettono di mangiare o parlare per controllare notifiche e status, inviare foto del piatto o del gruppo che sorride. Ma il mandare immagini supera il momento conviviale. Ulteriori deterioramenti nei rapporti si hanno addirittura durante l’attività sessuale: il sesso viene accelerato per terminare prima e avere più tempo per usare i social. Altri esempi? Li troviamo nel numero di giovanissimi che, al compimento del diciottesimo anno vogliono il cellulare ultimo modello e non la macchina per restare sui social piuttosto che muoversi verso l’indipendenza.

Terminiamo con una patologia tipicamente femminile, la dismorfia da Snapchat. Potevamo immaginare che si possa essere ossessionati dalla propria immagine sui social fino al punto di ricorrere alla chirurgia plastica per assomigliarvi? Sappiamo quante app esistono per modificare l’aspetto di una persona fino a renderlo perfetto ai suoi occhi. Il numero di like determina il il consenso del pubblico che ciascuno si è costruito e l’accettazione di un’immagine creata per la rete. Che cosa di meglio, a questo punto, che rendere se stessi identici ad un’immagine approvata dalla rete? Affari d’oro per i chirurghi plastici.

©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione

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