Le tasse di Trump

Per molti anni, le dichiarazioni fiscali di Donald Trump sono stati “il Santo Graal” della politica e della stampa americana, ma anche di molti pubblici ministeri, che hanno tentato, finora invano, di portare il Presidente davanti a un Tribunale per evasione. Non per caso, Trump, i suoi legali e la stessa Casa Bianca, hanno combattuto una strenua battaglia per impedirne la divulgazione, sapendo bene quanto dannose per il Presidente le dichiarazioni possano rivelarsi.

Il New York Times, però, alla fine è riuscito a ottenerle, le ha sottoposte a un attento esame da parte di esperti e domenica scorsa ne ha pubblicato in prima pagina un riassunto, che espone i punti principali. In sintesi, Trump è riuscito a pagare in tasse federali, per gli anni 2016 e 2017, solo 750 dollari annuali (una cifra ridicola se si pensa al patrimonio miliardario vantato da Trump) e per i dieci anni precedenti addirittura zero. Come ci è riuscito? Innanzitutto, dichiarando perdite milionarie per ciascuna delle sue imprese immobiliari, in secondo luogo deducendo spese a dir poco indegne: 70.000 dollari per “spese di barbiere” (“hair stiling”) e 124.000 per spese di parrucchiera della figlia Ivanka, enormi spese per consulenza a compagnie, vedi caso, di proprietà della stessa Ivanka. Ma non è tutto; Trump ha in corso un pesante contenzioso con il Fisco americano, per rimborsi indebitamente percepiti, ha debiti personali per 450 milioni di dollari che scadono nei prossimi 4 anni etc. Va aggiunto che parte dei profitti delle imprese vengono da investimenti all’estero (specie in Turchia) e che risultano cospicue somme versate da gruppi o paesi esteri nei golf e hotel di Trump, cose tutte che configurano un chiaro “conflitto d’interessi”. La lista è molto più lunga, e il NYT ha anticipato nel suo editoriale di domenica che nelle prossime settimane continuerà a dare nuove informazioni.

L’immagine che potenzialmente ne esce di Trump è di un manipolatore che ha sistematicamente frodato il Fisco, e quindi il suo stesso paese, o, in alternativa, di un uomo d’affari incompetente e avventuroso, il cui successo imprenditoriale (su cui ha fondato parte della sua fama) è un castello di carte.

Le rivelazioni del NYT sono state riprese dalla grande stampa americana e dalle principali reti d’informazione TV. Cadono in un momento critico, a distanza ormai breve dalle elezioni del 3 novembre. Vedremo l’effetto reale che avranno sul pubblico: non sullo zoccolo duro trumpiano, che si mostra impermeabile, né sui democratici, già straconvinti, ma su una parte almeno degli indecisi (che non amano Trump ma neanche Biden) e si inclinano per il “non voto”. Opzione pericolosa in un’elezione in cui la posta in gioco è davvero alta.

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