Camera di Consiglio

LA CASSAZIONE RITORNA SUL MANTENIMENTO DEI FIGLI MAGGIORENNI – Con una recentissima sentenza, la Corte di Cassazione, richiamando altre sue decisioni, è tornata sul diritto al mantenimento del figlio maggiorenne.

Da una parte, infatti, per i figli vi è il diritto di essere educati, mantenuti, istruiti dai genitori secondo le proprie aspirazioni e capacità; d’altra parte il diritto all’essere mantenuti non può esistere “sempre e per sempre”, come afferma la Suprema Corte.

Ritenere che un figlio abbia diritto ad un impiego all’altezza della sua professionalità ed idoneo allo stesso tempo a garantire una appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguato alle sue aspirazioni può valere in un mondo ideale. Quanti laureati non riescono a trovare il lavoro per il quale si sono formati? Ciò non significa che debbano rifiutare di cercare altri lavori.

Il problema resta quello di determinare quando un figlio possa definirsi economicamente autosufficiente. Secondo il Codice Civile, il figlio non autonomo “può” essere destinatario di un assegno periodico da parte del genitore. Tale decisone è rimessa al Giudice, che dovrà vagliare ogni caso concreto, tenendo conto che i figli non devono arrivare ad una sorta di parassitismo nei confronti dei genitori che saranno sempre più anziani.

La Corte già diverse volte aveva sottolineato che il diritto al mantenimento deve essere contemperato col principio di autoresponsabilità: il figlio, divenuto adulto, è tenuto ad essere responsabile delle proprie azioni, non rilevando le condizioni economiche della famiglia di origine.

Se prima, infatti, il riferimento per ritenere il figlio autosufficiente dal punto di vista economico era la sua capacità di provvedere a sé stesso con appropriata collocazione nel corpo sociale, con il peggioramento della situazione del mercato del lavoro, sempre più precario, anche l’età avanzata può divenire un criterio determinante.

Qualora non si riesca a trovare un lavoro che si adatti perfettamente al percorso di studi effettuato, non significa che non se ne possano accettare altri o che si possano rifiutare. Il figlio, in virtù del principio di autoresponsabilità deve comunque cercare lavoro attivamente, senza poter pretendere un mantenimento all’infinito.

Nel caso di specie il figlio aveva terminato gli studi ed aveva intrapreso la strada dell’insegnamento: era un precario, percependo così redditi modesti, ma significativi; non coabitava di fatto più a casa per spostamenti di lavoro in varie provincie, e poteva contare su un reddito annuo medio di circa 20.000,00 Euro. La Corte, pertanto, ha sostenuto che null’altro gli sarebbe dovuto dai genitori.

Resta un problema generale la disoccupazione giovanile e che molti giovani, formati e pronti per il mondo del lavoro vengano, di fatto, sfruttati. L’importante è che diligentemente, si faccia di tutto per guadagnarsi un’esistenza dignitosa.

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