C’era una volta in America (Film, 1984)

Tutto nasce da The Hoods di Harry Grey, uscito in Italia come Mano armata, scoperto per caso da Sergio Leone, su suggerimento di Pino Colizzi, che aveva usato quel libro per alcune sequenze (poi eliminate) de I quattro dell’Ave Maria. Un romanzo che a Leone non piace troppo pur notando elementi interessanti per realizzare l’autobiografia di un vero gangster, soprattutto dopo aver incontrato l’autore. Tutto il materiale sull’infanzia desta l’interesse del regista, pensa che possa servire per comporre un nuovo film sul tempo perduto, dopo Giù la testa e C’era una volta il west.

Non è facile ottenere i diritti per sfruttare Mano armata, ma Leone ci riesce e comincia a scrivere la sceneggiatura con Kim Arcalli ed Enrico Medioli dopo aver saputo che Grey aveva scritto il romanzo quando era recluso a Sing Sing per raccontare la vita di un gangster, senza le finzioni degli odiati film americani. Leone capisce che il materiale da usare è soprattutto quello dell’infanzia, tutto il resto sono cliché, pensa che quel testo sia ottimo per realizzare un omaggio al cinema e al genere poliziesco. Per questo sono importanti Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi, capaci di sviluppare bene la parte relativa alla giovinezza dei protagonisti, sulla falsariga di storie come Amici per la pelle di Franco Rossi. Norman Mailer adatta la sceneggiatura per il mercato nordamericano, ma l’errore più grande è tagliare il film a 130’.

Tutto è molto vero nel libro, le vicende di Noodles (De Niro), Max, gli altri ragazzi che crescono nel quartiere malfamato ebraico, gli scontri con i gangster polacchi e con la polizia, tra padroni e lotte sindacali, gente che ammazza per contratto. Max è il solo personaggio modificato, perché nella realtà non fa la truce fine descritta (maciullato come spazzatura), ma è uno che per vivere uccide su commissione. Leone parla con diversi criminali per rendere il film più vero, incontra molte persone, soprattutto ebrei e mafiosi italiani, prostitute, criminali, separando i veri ricordi dalla mitologia personale.

Max avrebbe dovuto essere Gerard Depardieu, attore fantastico che avrebbe fatto volentieri quel ruolo, dopo il capolavoro di Novecento, ma non aveva senso un attore francese, a parte i motivi di coproduzione. Robert De Niro è un Noodles perfetto, scioglie un altro contratto per interpretare la parte del protagonista e dopo questo film diventa un attore sempre più ricercato. James Woods è l’amico Max, nevrotico ed eccessivo, reso al meglio da un volto strano e interessante ma anche da una recitazione sopra le righe. Buone anche le scelte di Joe Pesci e di Tuesday Weld, una Carol davvero inquietante. I ragazzi non sono delle baby star ma dei personaggi spontanei selezionati da Cis Corman, responsabile del casting.

C’era una volta in America diventa il più americano dei film italiani, una biografia su due livelli: la vita personale di Leone e la vita come spettatore del cinema americano. Molti omaggi al cinema più amato, come la scena della charlotte russa sulle scale dedicata a Chaplin. Per godere appieno del film non bisogna vedere la versione ridotta a 130’ che segue un banale ordine cronologico (infanzia, giovinezza e vecchiaia), perché manca di mistero e di tempi meditati. C’era una volta in America rappresenta la fine di un genere, di un certo tipo di cinema, anche se il sorriso finale di De Niro è colmo di speranza.

Un film insolito per Leone – al punto che i contemporanei e molti critici non lo comprendono – sia per la presenza della droga (la fumeria d’oppio) che per le molte scene di sesso, troppa attenzione a elementi passionali e al tradimento, conditi di un amore perverso e violento (la scene dello stupro in auto). Il film non sarebbe lo stesso senza la fantastica colonna sonora di Ennio Morricone che compone musica originale, aggiungendo la suggestiva Amapola, Yesterday di John Lennon e Paul McCartney, Night and Day di Cole Porter e Summertime di George Gershwin. La scenografia è pittorica, ispirata ai lavori artistici di Edward Hopper, Reginald Marsh e Norman Rockwell, ricca di suggestivi scorci del ghetto con il ponte di Brooklyn sullo sfondo. Tutta la struttura del film è basata sul tempo, tra carrellate, piani sequenza e soggettive, i personaggi vengono seguiti nello scorrere del tempo, la macchina da presa non vuole mostrare la città ma il tempo che passa. Resta un film realista e crudo, ricostruisce luoghi che non ci sono più, distrutti dagli anni, grazie a modelli originali, ambienti riprodotti con dovizia di particolari. Un viaggio negli inferi, un ritorno al passato, alla ricerca delle proprie radici, del tempo perduto, compiuto grazie al personaggio di un gangster interpretato da un De Niro in gran forma. Quando il cinema popolare incontra il cinema d’autore. Proprio come ha fatto Tarantino in C’era una volta a Hollywood.

Rai Tre ha trasmesso il 6 luglio 2020 una preziosa versione integrale, restaurata in digitale, composta da 255’, con tutti i tagli ritrovati nel 2012, mai doppiati, conservati in lingua inglese con relativi sottotitoli. Piccolo capolavoro.

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Regia: Sergio Leone. Fotografia: Tonino Delli Colli. Musiche: Ennio Morricone. Soggetto: Harry Grey (romanzo Mano armata). Sceneggiatura: Kim Arcalli, Enrico Medioli, Piero De Bernardi, Leonardo Benvenuti, Sergio Leone, Franco Ferrini.  Produttore: Arnon Milchan. Interpreti: Robert De Niro, James Woods, Elizabeth McGovern, Scott Tyler, Rusty Jacobs, Jennifer Connely, Tuesday Weld, Treat Williams, Joe Pesci, Danny Aiello, Burt Young, Darlanne Fluegel, William Forsythe, James Russo, Mario Brega, Louise Fletcher.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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