Economia USA, Trump alla prova del Covid 19

Solo pochi mesi fa, era gennaio, al Forum di Davos, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump gongolava tronfio di fronte a una tiepida assemblea di economisti, “L’America è tornata a vincere!”. I numeri fin qui prodotti erano stati ottimi fin dall’inizio del suo mandato, quasi 7 milioni di occupati in più, la disoccupazione è scesa al 3,5%, il minimo storico da 50 anni. Il reddito medio delle famiglie è aumentato del 2,3%, così come gli stipendi del 2,5%, mentre il tasso di povertà è diminuito dello 0,9% raggiungendo l’11,8%, il dato più basso dal 2001. Dall’inizio del suo mandato Wall Street è stata euforica e molti commentatori si sono accodati al carro del vincitore esaltando i meriti di The Donald.

Nemo profeta in patria, pur non essendo economista, ma semplice giornalista, non ho mai esultato per i numeri macinati dall’amministrazione del tycoon, reputando che la ripresa fosse drogata da fattori esterni. Mentre Barack Obama aveva raggiunto livelli quasi doppi rispetto quelli di Trump, puntando su tecnologie, trattati, green economy, accordi commerciali; il magnate che Spike Lee ha rinominato “L’agente arancione” ha diretto le proprie mosse in direzione diametralmente opposta. Scontri continui con tutti i partners mondiali, erigendo dazi e barriere doganali, uscendo o denunciando trattati e accordi, scontri con la Cina, ma anche con il sud del continente americano, con il WTO, con l’Europa, auspicando che la brexit dilagasse a macchia d’olio disintegrando un’Unione Europea che rimane di fatto un competitor importante se unita. Trump ha approfittato del prezzo del petrolio a livelli tali da rilanciare il costo shale oil statunitense e finanziando tutte le sue manovre con un aumento del già enorme debito pubblico di ben 2,8 trilioni di dollari nel triennio, +1,2 trilioni nel solo 2019. I risultati sono stati l’allargamento della forbice tra ricchi e poveri, privati questi ultimi anche della copertura sanitaria, e una massa di denaro che si è riversata in borsa, ma senza che questo si traducesse in una base solida che lo rinforzasse le fondamenta, e in questi casi quando tira il vento forte, è facile che le case costruite troppo in fretta cadano più velocemente del tempo in cui sono state costruite.

D’altronde, la posizione di Trump per il corso della Presidenza, privo di qualsivoglia orizzonte sociale, non poteva che concentrarsi sul lato economico, ecco il motivo per drogare un’economia già in salute con un fiume di soldi distribuito tramite la riforma fiscale, a spese del debito. Teniamo presente che il bizzarro sistema elettorale americano ha fatto vincere The Donald malgrado Hilary avesse raccolto 3 milioni di voti in più, e che per ottenere la vittoria il magnate ha esaurito tutta la sua platea elettorale. La possibilità di rielezione per un secondo mandato si basa sul fatto che i dem non raccolgano i consensi persi, gli elettori che hanno disertato le urne la volta scorsa, gli indecisi, perché i sostenitori del tea party la loro parte l’hanno già fatta e non possono dare di più, solo i dem possono aumentare.

Ma nel piano perfetto del Presidente Trump è piombato come un fulmine il Coronavirus, e il Covid-19 si è rivelato un imprevisto che il tycoon non avrebbe potuto fronteggiare in maniera peggiore. La FED che era stata attaccata da Trump proprio per gli otto aumenti dei tassi ha fatto la sua parte riducendo a zero l’interesse per sostenere l’economia. Il Presidente invece si è limitato prima a sottovalutare la pandemia, per poi peggiorare la situazione cercando improbabili nemici nella Cina di Xi con cui a Natale stava già predisponendo la pace, prendendosela poi con l’OMS e persino con il suo stesso capo del team sanitario Anthony Fauci. Ma intanto i disoccupati sono arrivati a 33 milioni, con la previsione si attestino a 38 milioni. La forza lavoro americana è di 165 milioni di persone, 33 milioni di persone significano che il 20% della forza lavoro è ora disoccupata.

Ma ancora peggio del fatto che solo la metà della popolazione statunitense sia occupato, è il fatto che non ci sia nessun progetto per ripartire. Non serviranno certo qualche centinaio di milioni risparmiati togliendo risorse all’OMS nel momento del maggior bisogno a risollevare una situazione drammatica, e probabilmente nemmeno il fatto che gli USA abbiano stanziato una cifra pari al 10% del pil per sostenere l’economia. L’unico obiettivo di cui si parla in termini di rilancio è tornare a mettere in corsa Trump le prossime elezioni presidenziali.

L’orizzonte attuale è di uno shock improvviso che causa caduta di fiducia e quindi una propensione alla spesa ai minimi storici per via della pessimistica previsione che i consumatori hanno del futuro, il tutto unito a una sicura, più che probabile deflazione. Un circuito vizioso che si annoda tra chi i soldi non li ha, e chi li ha, ma non li spende contando di ottenere prezzi migliori in futuro. Lo smartworking così in voga si rivelerà un ulteriore aggravio dal punto di vista economico, meno consumi di ogni tipo, mense, combustibili, pedaggi, abiti, per lavorare da casa non servono tailleur e abiti eleganti. Caduta degli affitti e del valore mobiliare, uffici da 200 persone che se avranno solo 10 impiegati in sede si dirigeranno verso un appartamento piuttosto che un edificio.

La disgregazione sociale di questo tipo di shock non comprime solo la classe media in basso, processo già iniziato con la crisi del 2009, ma il depauperamento dei luoghi di aggregazione come i siti lavorativi porta le persone in casa e fa crollare l’impegno politico. Tipicamente da questi processi nascono società autoritaristiche ed elitarie, dove i diritti vengono spesso limitati in nome del superiore interesse comune. Quando le nazioni escono da una crisi come il Covid-19 sono povere, e chi ha il problema di trovare lavoro difficilmente tenderà a impegnarsi sul fronte politico e dell’interesse comune. E una società povera come potrà occuparsi in maniera degna dei settori che afferiscono la vita sociale dei propri cittadini? Sanità, scuola, ricerca?

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