Le App anti Covid 19 in Europa

In Italia l’App Immuni ha sollevato numerose polemiche per le forti implicazioni rispetto la privacy dei cittadini coinvolti e l’invasività del sistema, tanto da essere stata modificata più volte ancora prima di essere ufficialmente rilasciata, cosa al momento ancora da avvenire. La questione ha rilievo anche a livello europeo, perché se fosse vero che le applicazioni per dispositivi mobili siano in grado di svolgere un ruolo fondamentale nella lotta contro Covid 19, le preoccupazioni dei cittadini si sono riflesse anche presso il Parlamento Europeo che è intervenuto sottolineando la necessità che le stesse vengano progettate con cura. Nella risoluzione votata il 17 aprile e in un dibattito durante la plenaria del 14 maggio il Parlamento europeo ha ricordato che ogni misura digitale contro la pandemia deve essere pienamente conforme alle norme sulla protezione dei dati e della vita privata.

Anche la Commissione europea ha suggerito un approccio coordinato a livello dell’UE per lo sviluppo e l’uso delle applicazioni di tracciamento progettate per avvertire gli utenti che sono stati in contatto con persone contagiate. Le applicazioni che fanno uso di tecnologie a corto raggio sono da preferire rispetto a quelle basate sulla geolocalizzazione che raccolgono dati in tempo reale su posizione e movimenti degli utenti insieme alle informazioni sulla loro salute. Queste applicazioni comportano maggiori rischi per la tutela della vita privata e sollevano preoccupazioni relative al principio di proporzionalità dell’UE. Le applicazioni possono anche fornire informazioni accurate e consigli sulla pandemia, possono permettere agli utenti di compilare questionari di autovalutazione e aprire linee di comunicazione tra pazienti e dottori. L’uso di dati anonimi e aggregati raccolti dagli operatori delle telecomunicazioni e altre aziende di tecnologie digitali possono aiutare a identificare le aree a rischio e a pianificare le risorse per la sanità pubblica.

Ma il discorso App non è un problema di facile soluzione, le strade sono quelle di una soluzione nazionale o di appoggiarsi alla proposta fatta da Apple e Google, che hanno preparato i loro sistemi operativi per accogliere le App come Immuni. Le differenze non sono piccole, tecnicamente le App autonome hanno un notevole carico per la batteria del terminale al contrario di quelle native proposte dai due giganti del web. In merito alla tutela dei dati, nel documento di Apple e Google che accompagna la pubblicazione delle API ci sono anche le indicazioni per i governi: le App devono essere fatte solo dai sistemi sanitari nazionali; devono chiedere agli utenti il consenso per essere usate; devono chiedere il consenso agli utenti prima di condividere il risultato del proprio test al Covid-19, devono raccogliere solo i dati indispensabili e questi non possono essere usati appunto a scopo di lucro; non devono richiedere mai di accedere alla geolocalizzazione: “Abbiamo collaborato per costruire la tecnologia di notifica di esposizione al contagio che consentirà alle App delle autorità sanitarie di funzionare in modo più accurato, affidabile ed efficace sia su telefoni Android che iPhone. – si legge nella nota congiunta di Apple e Google – Nelle ultime settimane, le nostre due società hanno lavorato insieme ad autorità sanitarie, scienziati, organizzazioni sulla privacy e leader dei governi di tutto il mondo per raccogliere contributi e indicazioni. La notifica di esposizione ha come obiettivo specifico l’avviso tempestivo, particolarmente importante per rallentare la diffusione della malattia dal momento che il virus si può diffondere in modo asintomatico“.

Il sistema Apple-Google prevede che le App, una volta lanciate sullo smartphone il sistema operativo chiedano il consenso se attivare o meno il ‘Covid-19 Exposure notification’. Questa sarà un’opzione da attivare, come si attiva ad esempio la connessione dati o la connessione wifi dal proprio cellulare. Una volta attivata l”Exposure notification’, il nostro smartphone comincerà a scambiare via bluetooth i propri codici (anonimi e casuali) con gli altri smartphone che avranno scaricato l’App di contact tracing. Sullo smartphone delle persone con cui il contagiato è entrato in contatto comparirà un banner di notifica: “Possibile esposizione al Covid-19”. Aprendola avremo informazioni su chi ha certificato il contagio della persona con cui siamo entrati in contatto, e la data del contatto, dovranno decidere le autorità nazionali quale sarà il passo successivo da compiere.

Mentre la Germania, assieme a Estonia, Austria, Svizzera e Spagna, ora si sta rivolgendo alla proposta nativa IOS e Android lasciando quindi agli utenti la decisione sui comportamenti da tenere, la Francia vorrebbe il coinvolgimento del Ministero della Sanità, il Regno Unito si sta mettendo addirittura nelle rapaci mani dei servizi segreti, l’Italia, come solito, resta alla finestra senza decidersi, ma la voglia di lavorare sui dati degli utenti, per quanto anonimi, è altissima. Anche l’efficacia di queste App è considerata molto labile dagli esperti che hanno lavorato sul campo, ad esempio notevoli dubbi che un lavoratore autonomo la cui famiglia dipende dal suo lavoro, si auto-isoli volontariamente sulla base di un semplice codice rosso sullo smartphone. Così tutto questo dovrebbe essere accompagnato da una presenza del sistema sanitario e di supporto che consentano al presunto contagiato di potersi mettere in quarantena volontariamente senza rischi. Altro punto dolente è la capacità del SSN di riuscire a rispondere celermente alla telefonata del cittadino? Se ci vogliono due mese per fare un tampone il sistema salta, il SSN sarebbe in grado di svolgere tamponi giornalieri nell’ordine delle decine di migliaia se non oltre sulla base degli avvisi di Immuni? Considerando che il bluetooth può metterti in contatto con una persona protetta da barriere o che si trovi addirittura nella stanza accanto. Come si vede i punti interrogativi sull’utilità di una App di questo tipo sono molteplici e ancora senza una risposta definitiva.

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