Pensieri di Ferro

Coronavirus, quella grande incertezza che può rallentare la ripartenza – Fare oggi previsioni sensate sulle conseguenze che il Coronavirus potrà avere sull’economia italiana è impresa assai ardua perché i dati oggi a disposizione non hanno ancora catturato gli effetti dell’epidemia. A titolo di esempio REF Ricerche ipotizza un PIL del primo semestre 2020 a -8%, mentre il CER prevede un calo nel primo semestre del 6,5% ed una chiusura di anno con un PIL a -3%.

Ma, al di là dei dati numerici, è importante evidenziare come lo scenario economico prospettico sia reso particolarmente instabile da due fattori generati dall’Ecovirus: la grande incertezza legata alla durata dell’emergenza sanitaria e l’ansia sociale che ne deriva. Il primo fattore, tra l’altro, è anche legato al rischio che, nel disperato tentativo di rimettere in moto il volano dell’economia, si possa abbassare la guardia anzitempo determinando così un andamento a “denti di squalo” caratterizzato da più picchi di contagio continuativi e ravvicinati. In pratica ciò che è accaduto con la Spagnola nel 1918.

E le conseguenze di un andamento a denti di squalo sarebbero pesantissime sia sotto l’aspetto emotivo che sotto quello prettamente economico. Da una parte si minerebbe la speranza fiaccando la capacità di reazione dei singoli, dall’altra la perdurante incertezza impedirebbe la ripartenza del volano dell’economia. E ovviamente questa incertezza determina uno stato di ansia sociale invasiva i cui riflessi sull’economia si vedono ormai chiaramente. Ad esempio desta molta apprensione l’andamento dell’indice della paura VIX (Chicago Volatility Index) che evidenzia la volatilità dei mercati. E’ arrivato a quota 83, livello mai raggiunto neanche nella precedente crisi, mentre un mese fa era a quota 14.

E certamente, nell’ultimo periodo, hanno contribuito a generare questo stato di ansia e incertezza l’incredibile gaffe (si spera) della La Garde che ci aveva privato tutto d’un tratto della fiducia nella BCE. Ma anche le parole del governatore della Banca Centrale Austriaca Robert Hollman che aveva candidamente affermato che la BCE aveva ormai raggiunto i suoi limiti. Come certo non ha aiutato l’Italia un recente articolo del NY Times che dipingeva, del tutto arbitrariamente, le banche italiane come sull’orlo di una violenta crisi. Ha detto bene il Presidente Mattarella quando affermava che abbiamo bisogno di partner che sostengano il nostro sforzo, non che lo ostacolino.

Affermazioni, quelle del NY Times, decisamente tendenziose considerando che il sistema bancario italiano è quello che ha fatto lo sforzo maggiore per ridurre drasticamente il fardello di credito deteriorato accumulato durante la crisi. Gli NPL sono calati dai 340mld del 2015 agli attuali 162mld con un abbattimento delle sofferenze nette a 25mld. Parallelamente, il patrimonio delle nostre banche (CET 1) ha raggiunto il 14% degli impieghi, più del doppio di quello presente nel 2007, rendendo così i nostri istituti decisamente più resilienti.

Ciò detto, esistono almeno due motivi di ottimismo. Il primo è che finalmente, grazie al fatto che il Coronavirus non è più un problema italiano di cui vergognarsi ma un problema europeo, sia la Commissione che la BCE sono scesi massicciamente in campo. La prima concedendo tutta l’elasticità necessaria ai Governi, aprendo agli “aiuti di stato” e soprattutto attivando la sospensione del patto di stabilità attraverso l’attivazione della “clausola di fuga”. Da parte sua la BCE si è attivata con consistenti iniezioni di liquidità a medio termine alle aziende attraverso il canale bancario (linee LTRO e TLTRO) e con un massiccio programma di acquisto di titoli sovrani (QE) per ben 750 mld. E a questo punto non ci si dovrebbe meravigliare se venisse approvato anche un programma di condivisione del debito a livello UE attraverso l’emissione dei famigerati Eurobond.

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