Quando eravamo la Culla del Diritto

Il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano; Bartolo da Sassoferrato, Verri, Beccaria; il diritto romano fin dal V secolo A.C. (le Dodici Tavole), il Granducato di Toscana, primo Stato moderno ad abrogare la pena di morte; la Storia della Colonna infame di Manzoni, ma anche la Costituzione della Repubblica Romana, sono solo alcuni tra gli aspetti che hanno portato al nostro paese la definizione di culla del diritto. Oggi sembra stiamo facendo l’impossibile per farci strappare questo a suo tempo meritato titolo.

I segnali erano arrivati già con alcune pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ci ha condannati  per casi che vanno da violazioni del principio di ne bis in idem alla trasmissione del cognome materno fino alla vicenda del giornalista Sallusti. Ultimo eclatante, il caso dell’ergastolo ostativo, istituto che, pur in presenza di pesanti istanze contrarie, si pone contro la nostra costituzione in materia di pena, ma anche contro alcune Carte dei Diritti Umani. Potremmo portare altri esempi tali che insigni giuristi del passato, da Vico a Gaio, da Calamandrei fino a Giovanni Leone e Aldo Moro, si rivolterebbero nelle tombe.

Abbiamo addirittura prodotto un ministro della Giustizia che ha dimostrato di non conoscere la differenza tra dolo e colpa (l’ABC di uno studente del primo anno) e che chiede decreti ingiuntivi su sentenze (per chi non è addetto ai lavori, sappia solo che è una bestialità assoluta) e, perla delle perle, che per cui il processo penale si conclude sempre con una sentenza di condanna. Con buona pace della presunzione di innocenza e altri principi costituzionali e di democrazia, al punto che se i codici avessero le mani lo prenderebbero a schiaffi. Ma tant’è, e quindi non meravigliamoci che sotto questo stesso ministro è stata approvata la sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio.

Provvedimento fortemente invocato da movimenti populisti e giustizialisti, che ne fanno bandiera, approvato nonostante le proteste dell’avvocatura e le perplessità di parte della magistratura, il blocco della prescrizione non è sicuramente la soluzione dei problemi del nostro ordinamento, come si vorrebbe far credere, ma solo una norma che, si spera, avrà la durata minore possibile fino ad un auspicato intervento della corte costituzionale.

Che cosa è la prescrizione? Esisteva già ai tempi in cui ad Atene si mettevano le basi della democrazia: ogni delitto, tranne l’omicidio e l’attentato alla Costituzione si prescriveva in cinque anni; tra le ragioni quella di limitare il potere degli accusatori prezzolati e di professione (che lungimiranza). Esiste in tutti i Paesi che, come noi, usano il sistema di Civil Law; anche in quelli di Common Law troviamo strumenti per evitare la durata eterna del processo. La prescrizione è sinonimo di certezza del diritto, tutela le libertà e i diritti di ogni cittadino. Usiamo le parole di Cesare Beccaria: “…le leggi devono fissare un certo spazio di tempo, sí alla difesa del reo che alle prove de’ delitti, e il giudice diverrebbe legislatore se egli dovesse decidere del tempo necessario per provare un delitto”.

Il messaggio è chiaro, e con il sistema appena introdotto sarebbe il giudice di secondo grado a decidere quando (e magari addirittura “se”), celebrare il processo di appello, privando il cittadino di un suo diritto. E anche, nel contempo, la parte offesa della possibilità di ottenere il risarcimento del danno, stante il principio costituzionale di innocenza fino al passaggio in giudicato della sentenza (altro principio sembra si voglia calpestare, al punto che qualche magistrato, ed ex, ha auspicato l’abolizione dei gradi di giudizio dopo il primo).

Ma continuiamo con Cesare Beccaria: “…quei delitti atroci, dei quali lunga resta la memoria negli uomini, quando sieno provati, non meritano alcuna prescrizione in favore del reo che si è sottratto colla fuga; ma i delitti minori ed oscuri devono togliere colla prescrizione l’incertezza della sorte di un cittadino, perché l’oscurità in cui sono stati involti per lungo tempo i delitti toglie l’esempio della impunità, rimane intanto il potere al reo di divenir migliore”.

La prescrizione è l’istituto giuridico che, in forza del trascorrere del tempo, e dell’inerzia degli organi giurisdizionali, fa venir meno l’interesse dello Stato a punire un delitto e, di conseguenza, l’estinzione di quest’ultimo. Invero non si può procrastinare a tempo indeterminato la punizione di un colpevole, salvo che per alcuni determinati reati quali stragi e omicidi. E il nostro sistema già lo prevede.

A che cosa porta la sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio? Semplicemente alla non celebrazione di molti appelli; a imputati condannati ad attendere chissà quanti anni per vedere riconosciuta la loro innocenza dopo una sentenza errata di primo grado (e troppe ne vediamo), ma anche veri colpevoli espiare una pena dopo che dal delitto sono trascorsi chissà quanti anni. La pena verrebbe scontata da una persona diversa da chi era stato l’autore del fatto; sicuramente più vecchi, quasi certamente, cambiato, forse già rieducato, rendendo inutile la pena che dovrebbe avere valore di rieducazione. Inoltre questo sistema permetterebbe a veri criminali (che non possono essere detenuti sine die, in attesa di una sentenza definitiva), di approfittarne per evitare gli effetti definitivi di una sentenza. Aggiungiamo infine che questo nuovo sistema pone sullo stesso piano un omicidio e un resto tributario con un furto e un’evasione o la guida senza patente.

In questi giorni circola in Rete un’intervista ad un giurista di elevato spessore e di indubbia moralità: Sabino Cassese. Dovrebbero ascoltarla tutti, e riflettere. Con poche, semplici parole, ma mandando un chiaro richiamo a fazioni forcaiole e giustizialiste, degne di una piazza da ghigliottina e estremismi talebani, l’ex presidente della Corte Costituzionale, pone in evidenza come questa norma violi “semplicemente” i principi di eguaglianza, di ragionevolezza della durata processo, quello già citato di rieducazione della pena.

Non ultimo, e ricordiamolo a chi invoca questa norma aberrante, Cassese evidenzia come questa norma porta verso un sistema di giustizia totale da parte dello Stato, che ricorda sistemi che nulla hanno a che vedere con la democrazia.

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