Hikikomori, patologia al tempo della Rete?

Nell’antica Atene, una terribile pena per i suoi cittadini, forse la più estrema e temuto, era l’ostracismo. L’essere banditi dalla città considerata la culla della civiltà. Doveva essere terribile dover restare completamente fuori dal contesto sociale per un periodo di dieci anni, essendo stato considerato un pericolo per la società. Forse ideato da Clitene nel 510 A.C., l’ostracismo vide vittime illustri quali Aristide, Temistocle e Cimone. Oggi assistiamo al fenomeno opposto, vale a dire il volontario isolamento in un mondo tutto suo da parte di giovani e adolescenti, che decidono di ritirarsi a vivere in un mondo tutto loro, il cui unico collegamento al mondo esterno è spesso solo il loro computer. Lo chiamano Hikikomori.

Registrato e probabilmente sviluppatosi in Giappone, il termine può essere tradotto con “ritiro”, e sta ad indicare un disagio molto grave di estremo isolamento sociale. Non coincide con le forme di dipendenza da internet. Queste ultime si manifestano proprio nell’estremo disagio che deriva dall’essere impossibilitati a connettersi alla rete o alla propria tastiera, con un conseguente allontanamento dalla società. La scelta di diventare Hikikomori ha una forte connotazione di volontarietà, di scelta; e mentre in molti decidono di vivere in uno stato di costante e totale isolamento, per altri la possibilità di utilizzare internet resta l’unico possibile strumento per mantenere forme di relazione con il mondo esterno ancorché virtuali.

Tra i sintomi sono stati individuati l’incomunicabilità, la depressione, disturbi ossessivo compulsivi e, talvolta, nei casi più gravi, alcuni vivono reclusi in casa, abbandonando scuola, lavoro, vita privata e, inoltre, neppure più comunicano per il tramite di internet.

È stato posto in evidenza come questo fenomeno sia sottostimato, non solo nel suo potenziale, ma che è anche oggetto di scarso approfondimento, anche per la sua possibilità di essere confuso con altre situazioni psicopatologiche diverse quali, ad esempio, la dipendenza da internet. Si noti che molti giovani afflitti da questa patologia, riescono a frequentare normalmente l’ambiente didattico, salvo poi rinchiudersi di nuovo in una impenetrabile realtà virtuale che creano intorno a sé stessi.

Gli studiosi giapponesi che più di altri, se ne sono occupati hanno rilevato nei soggetti, per lo più maschili, una profonda vergogna che non si limita al non poter avere un lavoro come le persone normali, ma che diventa un senso di vergogna profondo e diffuso. Pensano di essere immeritevoli, non adatti alla felicità. Quasi tutti hanno il rimorso di aver tradito le aspettative dei loro genitori. Tutto ciò è particolarmente evidente in una società altamente competitiva come quella giapponese. Invero la forte pressione che caratterizza la società asiatica, e le elevate aspettative delle famiglie, possono giungere a schiacciare la personalità, specialmente, come registrato, nei casi di figli unici, su cui si riversano maggiori pretese. Si potrebbe pensare che nella realtà italiana, dove minori sono le pressioni, e dove la scolarizzazione è, per atavica tradizione, quella di accontentarsi di una stiracchiata sufficienza, questa malattia non possa manifestarsi, e invece i numeri smentiscono questo assuno.

Cause caratteriali, quali essere particolarmente sensibili, introversi, ma anche spesso intelligenti, possono aggiungersi a contesti familiari caratterizzati da assenza del padre e eccessivo attaccamento alla madre. La scuola non è fattore da scartare: laddove l’ambiente scolastico venga vissuto in maniera particolarmente negativa, e si aggiunga magari episodi di bullismo, ecco che si creano basi ideali per far nascere un Hikikomori. Non ultimi, fattori sociali, quali pressioni di realizzazione sociale che, in casi estremi, ma non improbabili, potrebbero essere anche il semplici sentirsi inadeguati in contesti dove l’immagine diventa più importante della sostanza. Ecco la scelta di autoescludersi nella quale, dobbiamo ripetere, il ricorrere ad una realtà virtuale è conseguenza e non causa esclusiva.

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