Di Maio e Casaleggio, due destini blindati?

Sei milioni sono i voti persi dal Movimento 5 Stelle in un anno di governo e 44.849 i votanti che hanno riconfermato Luigi Di Maio come capo politico dello stesso Movimento, carica che unisce a quella di vice-premier e di Ministro del Lavoro e Sviluppo economico. Tre cariche riunite in un’unica persona, cosa che l’accomuna, non casualmente, con il dominus Davide Casaleggio, titolare della Casaleggio Associati, Presidente inamovibile per Statuto della piattaforma Rousseau e della Fondazione Casaleggio.

L’intreccio che unisce inscindibilmente – e che rendeva superflua la consultazione e l’esito scontato – è profondo e nemmeno troppo nascosto. Come già verificato dai magistrati di Napoli il database del Rousseau permette di sapere chi ha votato e come, il che significa che non solo bisogna fidarsi dei risultati senza nessuna certificazione terza, ma che è fin troppo facile capire che sei un esponente di spicco, un parlamentare ad esempio, e voti contro i desiderata del duo Casaleggio-Di Maio, la tua carriera politica difficilmente vivrà momenti felici.

Dopo un risultato elettorale di questa portata negativa, qualunque esponente politico, ancor più se portatore di ‘cambiamento’, dovrebbe avere l’onestà intellettuale di presentare le proprie dimissioni, ma questa è una possibilità teorica che si scontra con una realtà costruita dagli stessi interpreti, forse un poco troppo frettolosamente. Il limite dei due mandati, anche se già messo in discussione probabilmente non casualmente, decreterebbe l’impossibilità di una rielezione parlamentare dello stesso Di Maio, anche se una consultazione sul Rousseau potrebbe ovviare al problema, e se cade una delle pietre d’angolo tutto l’edificio rischierebbe di crollare. Non si parla di bruscolini, i 300€ che mensilmente ogni parlamentare e consigliere regionale del Movimento versano alla piattaforma Rousseau valgono, nell’arco di una legislatura, 9 milioni di euro, una discreta cifra che affluisce nei bilanci, non proprio trasparenti, della creatura guidata da Casaleggio.

Il problema che mina l’esistenza stessa del Movimento resta sempre il nodo gordiano insoluto della definizione di ‘cosa si vuole fare da grandi’. Se il primo step era l’affrancamento del M5S dalla figura del suo creatore Beppe Grillo, e diventare quindi un partito (al di là di fuorvianti definizioni senza senso di ‘non partito’), il problema si è trasferito mettendosi nelle mani di un imprenditore di già scarsi risultati quale Casaleggio. Affidare le sorti del Paese ad un imprenditore, gli esempi di Berlusconi e Trump sono maestri, non è proprio la sorte migliore per uno stato libero e che dovrebbe essere sotto la sovranità del popolo, come riuscire a liberarsi dall’abbraccio mortale che il Movimento si è lasciato cucire, inconsapevolmente e colpevolmente, è decisamente difficile stante le norme statutarie che blindano la posizione del dominus Davide Casaleggio.

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