Elezioni Thailandia, nessun vincitore e tanti sconfitti

Il risultato delle prime elezioni democratiche, domenica scorsa, da quando i militari hanno preso il potere con un colpo di stato nel 2014 si rivela, come da copione, un intreccio di potere e opacità, tra forti preoccupazioni per presunte irregolarità di voto e ritardi nell’annuncio dei risultati ufficiali.

Nel frattempo, i risultati preliminari diffusi dalla Commissione elettorale danno in testa il Pheu Thai, partito d’opposizione fedele all’ex premier Thaksin Shinawatra, con 138 seggi, seguito a 96 seggi dal Palang Pracharat, di fatto partito incarnazione della giunta militare che fa capo all’ex generale e attuale primo ministro Prayuth Chan-ocha. Al terzo posto si è piazzato la vera sorpresa di queste elezioni, il Future Forward, partito capeggiato dal giovane miliardario Thanathorn Juangroongruangkit che fa presa sulle nuove generazioni. Il vero sconfitto delle elezioni può invece considerarsi il Democrat Party, il più antico partito della nazione che ha nella capitale Bangkok la sua roccaforte, lasciando la prima vittima sul campo con le dimissioni del leader del partito ed ex-premier Abhisit Vejjajiva.

Come c’era da aspettarsi è già scattata la bagarre delle coalizioni, con il Pheu Thai Party che rivendica il diritto di tentare per primo di formare un governo, in quanto primo partito nell’attribuzione dei seggi con il sistema maggioritario. Anche il Palang Pracharat Party, che ha vinto il “voto popolare”, si è detto disposto ad aprire le consultazioni per una possibile alleanza post-elettorale.

In ogni caso a questi seggi vanno sommati un altro 30 per cento in palio, ma attribuiti attraverso un complesso sistema proporzionale, e per il quale la Commissione elettorale potrebbe metterci settimane a dichiarare il risultato finale di queste elezioni. Questo tipo di meccanismo che non favorisce un risultato immediato, e con i rappresentanti della Commissioni nominati dalla giunta militare, ha portato molte persone a gridare alle “elezioni farsa”.

Inoltre, c’è anche da sottolineare che la giunta militare non ha voluto ispettori esterni nonostante l’Unione Europea e altri organismi internazionali avessero dato la loro disponibilità all’invio di un corpo per una missione di monitoraggio. A completare l’opera, c’è da aggiungere anche che i militari hanno “bloccato” il Senato attraverso la Costituzione votata sotto loro iniziativa e auspicio, assegnandosi di fatto un diritto di prelazione sulla nomina del prossimo primo ministro.

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