Pensioni d’oro?

Una delle occupazioni preferite dei governi è mettere mano al sistema delle pensioni, che interessa la vita – direi la sopravvivenza – di milioni di persone. Ora è il governo giallo-verde a provarci. Il dichiarato obiettivo è di ridurre lo squilibrio tra pensioni molto alte e pensioni al minimo vitale, con una redistribuzione delle risorse (ma Di Maio parla di risparmi per centinaia di milioni all’anno, quindi si tratterebbe, non di ridistribuire, ma di togliere ad alcuni). In sé non c’è niente di scandaloso. Tutti sappiamo che un (ridotto) numero di privilegiati, tanto nel settore pubblico (vedi Bankitalia) tanto in quello privato, va a riposo con liquidazioni e pensioni stellari.

Può discutersi se questo è giusto o no, se non corrisponda alla norma da rispettare in un’economia liberale e di mercato, che i cervelli migliori e le posizioni di maggiore responsabilità siano premiati pecuniariamente anche dopo la fine della vita attiva, perché altrimenti si rischia un appiattimento generale.

Ma, ripeto, qualche aggiustamento è giusto. Bisogna però vedere come sarà realizzato. Qui sorge immediatamente un dubbio: se fissare il tetto delle pensioni d’oro a 4.500 euro tenga conto della realtà del costo della vita oggi in Italia in una città grande o media. Chi legge può pensare che parli in difesa di un mio interesse, ma non è così; al tempo del Governo Monti perdetti una parte della pensione per “il contributo di solidarietà” che in quelle difficili circostanze mi parve giusto dare. Ora accetterei un nuovo sacrificio se servisse a qualcosa. Ma l’iniziativa del Governo odora purtroppo di demagogia elettoralistica e questo mi irrita molto. C’è un evidente intento punitivo nei confronti di categorie di dirigenti, pubblici e privati, che bene o male hanno fatto, fanno e faranno camminare il Paese. Solo una minoranza è incapace o corrotta (ma quest’ultima non ha bisogno della pensione per vivere). Nel loro insieme, i dirigenti conoscono il loro mestiere e garantiscono buon senso e continuità nell’azione esecutiva. Oggi si dice loro: avete servito il Paese, non vi siete in genere personalmente arricchiti (parlo specialmente dei dirigenti pubblici, categoria alla quale ho appartenuto), ora, nelle vostra terza età, dovete rientrare nei ranghi e vivere avaramente.

Ho servito il Paese, in posizioni e situazioni di alta responsabilità, per 43 anni, con non pochi  sacrifici, legati al mio mestiere di diplomatico (spostamenti continui, vita in sedi davvero disagiate e con climi e condizioni di sicurezza orribili), ho versato contributi per 47 anni, riscattando gli anni universitari. La mia pensione, fissata nel 2001, è rimasta ferma per 17 anni (diminuendo anzi un poco, come ho detto più sopra, con il “contributo di solidarietà”). Non è d’oro, checché ne pensi Di Maio. Basta per vivere decorosamente, nel rispetto di quello che si è stati e che si rappresenta, solo se vi si aggiunge il frutto di qualche risparmio o magari di qualche bene di famiglia. Ora mi si dice: te la riduciamo perché prendi troppo! Davvero curioso Paese l’Italia, dove i c.d. “diritti acquisiti” possono venire tranquillamente ignorati.

Possono? Non lo so. Ma credo che tutta la questione sollevi delicati problemi legali ed è possibile che qualcuno, isolatamente o in gruppo, agisca per difendere quei diritti davanti alla Giustizia, e specialmente davanti alla Corte Costituzionale. Cosa evitabile se il Governo fa le cose con buon senso e un po’ meno di demagogia.

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