Cronache dai Palazzi

Dopo circa 100 giorni di governo Conte arriva la prima fiducia. “È un record”, ha affermato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, aggiungendo che “non è mai bello mettere la fiducia” ma “in questo caso si tratta di un atto dovuto perché il provvedimento deve tornare in Senato con la scadenza a ridosso, il 23 settembre”. Con 329 voti a favore e 220 contrari (quattro astenuti), il decreto Milleproroghe è stato quindi approvato dall’Aula di Montecitorio.

Il decreto però non è ancora legge, in quanto dopo il voto di fiducia occorre discutere gli ordini del giorno per poi proseguire con la votazione finale del provvedimento. I lavori hanno inoltre subito un rallentamento a causa di misure ostruzionistiche, come quelle dei deputati dem inclini all’esame accurato degli ordini del giorno prendendo tutto il tempo a disposizione, oltre alla solita bagarre smossa in Aula, come lo scontro tra grillini e Fratelli d’Italia.

I lavori sono andati avanti al di là della dialettica politica esaminando i punti nevralgici del provvedimento: il taglio dei fondi alle periferie e l’autocertificazione in materia di vaccini. Quest’ultimo è il tema che ha infuocato l’Aula di Montecitorio. In linea di principio resta l’obbligo di vaccinare i bambini con la possibilità per i genitori di presentare un’eventuale autocertificazione che comunque acuisce, nel contempo, la possibilità di “evadere” dall’obbligo suddetto. L’onere del controllo rimane nelle mani delle autorità scolastiche e sanitarie.

Per quanto riguarda le periferie, l’altro punto dolente del Milleproroghe, la norma prevede il taglio di oltre un milione di euro di finanziamenti, tagli che potrebbero colpire progetti di risanamento già in itinere, che verrebbero quindi penalizzati a discapito dei diversi centri urbani coinvolti.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte ha comunque assicurato ai Comuni un intervento correttivo nel breve periodo, anche se i Comuni non intendono fidarsi delle promesse. Il governo garantirebbe le coperture solo per i progetti conclusi, accantonando le risorse previste fino al 2020. Da qui l’ira degli enti locali. Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha annunciato un’azione legale “per valutare i danni economici che ricadranno su aziende, lavoratori e istituzioni pubbliche”. Mentre Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) ha avanzato la sospensione delle relazioni istituzionali con il governo se entro dieci giorni la questione non verrà risolta.

Ci sono stati infine dei diverbi sul modo in cui il governo ha posto la fiducia, soprattutto da parte dei dem che hanno occupato simbolicamente l’Aula. “Sono state calpestate le prassi parlamentari, nel senso che per porre la questione di fiducia è necessario che vi sia l’autorizzazione del Consiglio dei ministri che in realtà non c’era perché hanno autorizzato una vecchia autorizzazione del 24 luglio”, ha dichiarato il deputato dem Francesco Boccia, pur non condividendo la decisione dei colleghi di occupare l’Aula. “Quando si pone la questione di fiducia è necessario farlo sul testo che in quel momento è stato lavorato in Parlamento. C’è stato un banale errore di Fraccaro – ha aggiunto Boccia – un errore abbastanza goffo, bastava chiedere scusa, sospendere l’Aula, convocare il Consiglio dei ministri, autorizzare la questione di fiducia e poi tornare in Aula”. Medesime le osservazioni da parte di Fratelli d’Italia che non hanno partecipato al voto.

A via XX Settembre si discute invece di coperture per quanto riguarda il reddito di cittadinanza (780 euro al mese), la misura tanto difesa dai pentastellati che chiedono 10 miliardi di euro per trasformare in realtà il provvedimento. “Nessuno ha detto ‘si’ o ‘no’ ai dieci miliardi per il reddito di cittadinanza chiesti dai grillini”, hanno sottolineato fonti del Tesoro, ma “non è ancora arrivato il tempo di parlarne”. La decisione dovrà comunque essere chiara entro il 27 settembre, data entro la quale dovrà arrivare in Parlamento la Nota di aggiornamento dei conti, ossia la Nota al Def (Documento di economia e finanza) che definirà gli obiettivi della manovra.

Il vicepremier Luigi Di Maio, leader dei pentastellati, ritiene che il reddito di cittadinanza sia una misura “imprescindibile” anche se, per ora, l’unica forma di copertura individuata dai grillini sarebbe la dotazione del vecchio Fondo del governo Gentiloni, circa 2,6 miliardi di euro nel 2019 e poco di più nel 2020.

Per quanto riguarda le diverse coperture molto dipenderà anche dallo spazio di manovra che il ministro Tria riuscirà a conquistare con la Ue. La Lega, a sua volta, sembra aver individuato circa 2 miliardi di coperture dal taglio delle deduzioni fiscali e altri 2/3 miliardi effettuando degli accorgimenti tecnici sulle pensioni. Infine la pace fiscale dalla quale ci si attende un’entrata “una tantum” tra i 3 e i 5 miliardi.

La flat tax messa a punto dalla squadra leghista costerebbe circa 5 miliardi di euro nel 2019, data in cui sarà avviata per circa 2 milioni di partite Iva che hanno ricavi fino a 65 mila euro, per le quali si prevede una tassa forfettaria (Iva inclusa) del 15%, a cui si aggiungerà un 5% sui ricavi tra 65 e 100 mila euro.

Per “quota 100” a 62 anni servirebbero invece circa 8 miliardi. Per quanto riguarda le pensioni si prevede inoltre una “quota 100 perfetta”, entro tre anni, con 40 anni di contributi e l’uscita dal mondo del lavoro a 60 anni di età.

In definitiva, la vera discussione sulla manovra inizierà la prossima settimana, anche in virtù dell’esito dell’arduo negoziato che il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sta conducendo con Bruxelles.Il deficit tendenziale è comunque improbabile che scenda sotto l’asta dell’1%, e sarà quindi più alto di quello previsto. Occorrerà invece evitare un’ulteriore ascesa verso l’alto del suddetto paramento, anche perché con un disavanzo vicino al 2% del Prodotto interno lordo si rischierebbe di far di nuovo lievitare il rapporto tra debito pubblico e Pil, ciò che via XX Settembre vuole per l’appunto evitare.

Sullo sfondo della manovra vi sono le clausole di salvaguardia che imporrebbero un automatico aumento dell’Iva nel 2018 e anche l’anno prossimo. In questo contesto per evitare un eventuale aumento dell’imposta sui consumi, e quindi dei prezzi – ciò che tra l’altro provocherebbe un’evidente ritorsione sui consumi –  sarebbero necessari circa 13 miliardi di euro, anche questi da reperire nel perimetro della manovra finanziaria.

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