Curriculum che passione

La vicenda del curriculum del premier in pectore Giuseppe Conte rende giustizia a Luigi Di Maio che, diamone doverosamente atto, ha avuto il buon senso e la dignità di non avere annacquato il proprio con competenze di cui non dispone, titoli di studio mai conseguiti, esperienze gonfiate. Non avere studiato e aver lavorato come venditore di bibite, anzi, non è un demerito. Forse lo è pretendere di fare il ministro.

Prima di lui erano stati oggetto di non poche polemiche i curricula di Valeria Fedeli, ministro dell’istruzione con un titolo che, all’epoca del conseguimento, sembrerebbe neppure avesse valore di scuola superiore, e quello di Oscar Giannino che si era inventato due lauree.

In un’epoca in cui internet, alla faccia della presunta privacy, permette di controllare tutto, ed in cui i cacciatori di bufale e gli haters sono ormai professionisti della ricerca e dello spargimento di fango anche sui veri innocenti, di viene da chiedersi come mai si cerchi di attribuirsi titoli o altre qualifiche di cui è semplice dimostrare l’inesistenza o l’iperbole.

 

Anche il Sole 24 Ore si è soffermato sull’argomento ma un’importante quotidiano economico ha tutte le ragioni di dare consigli ad aziende e aspiranti all’assunzione su come redigere un CV. Del resto a fronte di date discordanti che raddoppiano gli anni di lavoro, mancanza di anno di nascita o dati di contatto, inglese maccheronico e foto di presentazione scattate al pub, o selfie ammiccanti, è quantomeno opportuno che vengano forniti consigli da pubblicazioni del settore.

Il caso di Conte, premier in pectore, è peraltro particolare e sono immediatamente piovute smentite da parte delle università e istituti dove il professore di diritto privato avrebbe compiuto i propri aggiornamenti. New York e Malta hanno negato che il suo nome si trovi nei loro registri o che abbia formalmente seguito corsi o seminari di cui vi sia una tracciabilità.

Puntuali le precisazioni secondo le quali Conte avrebbe trascorso periodi di studio presso biblioteche e partecipato a corsi non registrati o altri seminari e, verosimilmente, incontri con altri docenti. Ciò è decisamente possibile e, senz’altro, laddove verificato, farebbe decisamente onore a chi vuole perfezionarsi nella propria materia mediante il confronto e lo scambio di idee con colleghi stranieri. Considerato il livello delle università italiane, di cui non si trova traccia tra le cento migliori al mondo, la scelta di migliorare il proprio bagaglio culturale, anche per chi è già titolare di cattedra è scelta decisamente encomiabile. Purtroppo però è un’attività, a parere di chi scrive, semplicemente dovuta: l’equivalente di un corso di aggiornamento che deve essere fatto da chi ha il compito di insegnare alle nuove leve. In qualsiasi disciplina. E inserire nel proprio curriculum quella che è attività apprezzabile, ma dovuta, specialmente verso sé stessi, è decisamente inappropriato e rappresenta, a determinati livelli, una brutta caduta di stile. Ha inutilmente gonfiato il suo curriculum.

In ogni caso la carriera politica di Conte è iniziata con una scivolata su una brutta buccia di banana che, maldestramente, si è messo sulla strada da solo e, possiamo starne certi, laddove ottenga la nomina a Premier, la stampa che non è certo facile al perdono non mancherà di ricordarglielo ad ogni occasione. È stato il New York Times, e non una rivista da sala di attesa, a eseguire gli accertamenti che, dagli States, sono giunti anche in Europa: Vienna, Parigi e Malta. La lezione? Se vuoi metterti in politica devi essere comunque pronto alle bordate e, in ogni caso, non devi essere tu a offrire all’avversario assist così clamorosi.

Purtroppo per Conte e il movimento grillino, altri casi di curriculum gonfiati sono stati quelli del portavoce Rocco Casalino, che potrà vantare la partecipazione al Grande Fratello ma non il master in Business Administration già scomparso dal suo curriculum, nonché addirittura quello del presidente della Camera Roberto Fico che potrà essere ricordato, oltre che per avere mancato di rispetto all’Inno Nazionale che ha ascoltato con le mani in tasca, anche per il master in Knowledge Management in un politecnico inesistente.

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