Lavoro digitale e Costituzione

Si chiama ‘lavoro digitale’. E’ quello, ad esempio, dei fattorini delle consegne a domicilio. E’ gestito generalmente da multinazionali, ‘atterrate’ negli ultimi anni sul proficuo suolo italiano insieme a quelle del noleggio con conducente, del turismo, degli affitti, dei trasporti e delle consegne a domicilio. Presenta una serie di problematiche riguardanti la garanzia di continuità lavorativa, la copertura assicurativa e l’entità della paga per citare le principali: problematiche che tengono distinte le attività in questione dalla definizione di ‘posti di lavoro’, anche se queste attività vengono conteggiate come veri e propri posti di lavoro nelle dichiarazioni dei politici ottimisti. La verità è che queste nuove attività si muovono in un contesto di vuoto legislativo, il che determina i problemi lamentati dai lavoratori e denunciati nell’ultimo anno dai primi scioperi, culminati in quello del Primo Maggio.

In attesa di norme generali, la risposta arriva per ora dalla ‘base’ della pubblica amministrazione. Il sindaco di Bologna Virgino Merola, ad esempio, ha emanato la Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano. La giunta di Giuseppe Sala a Milano sta pensando di fare la stessa cosa. E si vocifera che persino i sindacati, tradizionalmente impegnati a tutelare i posti già tutelati – quelli garantiti dai contratti a tempo determinato – si stiano accorgendo dei lavoratori precari dell’economia digitale. In riferimento alle condizioni di lavoro dei ‘riders’, anglicismo che edulcora la posizione di ‘fattorino’ ricoperta in molti casi da laureati e dottorandi, il Segretario della Uil Carmelo Barbagallo ha parlato di ‘caporalato 4.0’; e la Segretaria della Cisl Anna Maria Furlan ha chiesto “una seria riflessione sulla condizione di migliaia di lavoratori che al di là dell’inquadramento giuridico prestano la loro attività in condizioni precarie dal punto di vista retributivo e di condizione sociale”.

Qualcosa si muove, in questa passiva Italia che in un quarto di secolo si è lasciata sottrarre economia e ricchezza per dar credito alle sirene della globalizzazione: spinta dall’ansia, dalla paura; e dalla povertà, che nel secondo dopoguerra avevamo faticosamente cancellato. Qualcosa di istintivo forse, ma più spesso lucido, e certamente non irrazionale: perché alimentato dalla cultura dei diritti, e dalla cultura del lavoro, che struttura la nostra storia recente ed ancor prima il nostro ordinamento a partire dall’articolo 1 della Costituzione della Repubblica Italiana.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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