La diplomazia del disgelo

Al di là dei suoi aspetti teatrali e un po’ forzati, l’incontro tra i Presidenti delle due Coree ha un indubbio valore. Le mani nelle mani, gli abbracci, i sorrisi, i passettini calcolati di qua e di là della frontiera, ad un occidentale paiono parere forzature artificiale un po’ infantili, ma il fatto che ci si parli, invece di insultarsi o, peggio, spararsi addosso, è positivo. E nella cultura politica orientale gesti e simboli hanno un valore che trascende le apparenze. Ricordiamo, ad esempio, che il disgelo tra Stati Uniti e Cina, ai tempi di Nixon, iniziò e si percepì con una gara di ping pong.

Dalle Olimpiadi d’inverno in poi, le cose si sono mosse con insolita rapidità e possono anche confonderci. Cosa è accaduto realmente e cosa accadrà poi? Nel pieno della crisi causata dai missili nord-coreani, avevo scritto in queste colonne che, a mio avviso, a quel momento controcorrente, Kim Jong-un stava giocando una mano di poker azzardata, ma con certi limiti, nell’intento di conseguire vantaggi negoziali. È una tecnica non nuova, altri l’hanno usata in passato: alzare la voce e mostrare i muscoli per ottenere di più. Il pericolo sta se la situazione sfugge di mano, ciò che può accadere se l’interlocutore (o avversario) vuol “vedere il bluff” e decide un attacco preventivo. Ma in Donald Trump, Kim ha trovato un opponente altrettanto spregiudicato ed esperto, e altrettanto capace di bravate, il quale ha raddoppiato la posta, sapendo tuttavia che prima o poi si sarebbe dovuto negoziare.

Va detto anche che, al di fuori dei due avversari, c’erano un Presidente sud-coreano, Moon Jae-in, che aveva fatto della riconciliazione nazionale un punto cardine del suo programma, e soprattutto il potentissimo e paziente vicino cinese, poco incline a favorire azzardi nucleari alle sue frontiere. Con queste premesse, una effettiva normalizzazione dei rapporti inter-coreani pare dunque possibile.

Cosa vuole realmente Kim? In sintesi, direi riconoscimento politico e vantaggi economici. Cosa è disposto a dare in cambio? Può davvero rinunciare ai programmi nucleari e missilistici, dal momento che essi costituiscono allo stato le sue principali, se non le sole, carte in mano? La chiave di tutto sta nell’evoluzione dei rapporti Trump-Kim e, dato il carattere personalista delle rispettive conduzioni, nella chimica che potrà svilupparsi nel loro previsto incontro.

Sarà una partita da vedere, il cui risultato non sta scritto da nessuna parte e su cui è più che lecito essere prudenti. Ma scetticismo e diffidenza pregiudiziali non portano da nessuna parte. E che si parli di disgelo invece che di scontro armato è comunque un progresso.

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