Corea, prove di accordo

Da qualche tempo, le notizie distensive dalla penisola coreana si fanno più consistenti. Dall’epoca della partecipazione degli atleti nord-coreani alle Olimpiadi di inverno in Corea del Sud, si è avviato un processo di disgelo, nelle forme e con i tempi tipici del costume orientale. L’incontro tra i due Presidenti, i negoziati che si sostiene siano in corso per una trattato di pace tra le due Coree, tecnicamente in guerra dal 1953, e di demilitarizzazione della Zona di Confine, ma soprattutto il prospettato incontro tra Donald Trump e il dittatore nord-coreano, sono segni indubbi che qualcosa di muove.

Da tempo penso e scrivo che Kim Jong-un si comportava come un giocatore di poker abituato al bluff. Neppure un pazzo completo penserebbe di attaccare veramente territorio o basi americane o degli alleati degli USA, sapendo che provocherebbe una risposta devastante. Ritenevo che le bravate fossero un mezzo per imporsi all’attenzione e negoziare da posizioni di favore. Ma Kim ha trovato dall’altra parte del tavolo un giocatore di poker altrettanto avventuroso e audace quanto lui e con risorse infinitamente maggiori a sua disposizione. Ma penso che sia stato chiave il ruolo moderatore della Cina, che non ha alcun interesse a un conflitto nucleare alle sua frontiere che finirebbe col tirarla in ballo.

Tutto risolto, dunque? No, la mentalità di un dittatorello orientale è tortuosa e imprevedibile. Guardiamo con interesse a quello che succederà nei prossimi mesi, tirando comunque un leggero, anche se provvisorio, sospiro di sollievo perché perlomeno il linguaggio della diplomazia sostituisce gli scambi di insultanti e le bravate e, peggio, di missili e di bombe.

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