Siria, ritorno alla Guerra fredda?

In Medio Oriente, ogni guerra regionale ha la capacità di innescare escalation a livello mondiale per via delle alleanze politico-militari retrostanti, siglate dalle super potenze straniere con i governi locali. Molteplici sono gli interessi verso la Siria, compresi in uno spettro che varia dal fattore geostrategico dell’affaccio sul bacino mediterraneo ai giacimenti petroliferi, dal prestigio derivante da dimostrazioni di forza e peso diplomatico alla volontà di risolvere l’emergenza umanitaria in corso, in nome della democrazia e dei diritti civili.

Nella crisi siriana c’è di tutto: il regime alawita di Assad, in bilico dal 2012, quando le proteste scaturite dalla primavera Araba sfociarono in guerra civile; i ribelli integralisti strettamente collegati al terrorismo islamico di Al Qaeda e Isis, oggi quasi annientato, tranne sparute sacche di resistenza; il PKK curdo, confluito nelle forze d’opposizione e impegnato nel doppio confronto sul confine siro-turco anche con Erdogan, alleato della Nato; la Russia, presente militarmente sul teatro di guerra, per garantire, come ha fatto finora, la tenuta di Assad e la conservazione della sua unica base navale sul Mediterraneo, nel porto siriano di Tartus; gli Usa, preoccupati di un maggior consolidamento russo in Medio Oriente, in lizza con Mosca in un duello di nervi condito da reciproche accuse di destabilizzazione dell’area; Francia e Gran Bretagna, partner – a seguito dell’attacco col gas a Douma, addebitato ad Assad –  in un raid congiunto con gli americani, per distruggere nel Paese presunti impianti di armi chimiche.

Trump sembrerebbe intenzionato a far rientrare le unità statunitensi impiegate e chiede agli alleati Nato un maggior sforzo bellico e finanziario. All’inquilino della Casa Bianca, evidentemente, basta aver dato una dimostrazione di intervento chirurgico con bombe intelligenti, senza sacrificio di civili. Il Cremlino è stato preventivamente allertato della missione, proprio per evitare una pericolosa esposizione delle forze russe e il rischio di una successiva rappresaglia. Putin, ovviamente, non ha gradito l’ingerenza di Washington, ma – per il momento – la cosa pare finire qui.

Siamo convinti, di converso, che continui più intensamente che mai sul piano dell’intelligence. Ci sono state avvisaglie importanti, prima dell’attacco chimico a Douma, ancora infiltrata da frange di ribelli, e della successiva risposta militare di Washington, Parigi e Londra: l’avvelenamento con gas nervino, su suolo britannico, dell’ex spia e transfuga russo Serghej Skripal. Pura coincidenza o campanello d’allarme su una ripresa della guerra fredda? L’episodio, che ha oggettivamente incrinato i rapporti tra Londra e Mosca e comportato la mutua espulsione di parecchi funzionari d’ambasciata, potrebbe rientrare nel quadro di una rinnovata disputa sotterranea internazionale, che va ad abbracciare anche attività e ruoli giocati dalle grandi potenze nelle zone calde del Medio Oriente. I metodi e le tattiche tra servizi d’intelligence antagonisti ci sfuggono, ma non la sequenza – nel breve arco temporale – dell’avvelenamento di Skripal, dell’attacco chimico a Douma e del raid della Nato sulle fabbriche siriane.

Nel frattempo, gli ispettori dell’Opac (agenzia dell’Onu contro la proliferazione di armi chimiche) sono riusciti, dopo giorni di veto da parte del governo di Damasco e delle autorità russe presenti in loco, ad entrare nel luogo colpito con armi chimiche, per indagare sulle responsabilità dell’attacco. L’agenzia di stampa russa Interfax ha precisato che il ritardo subìto si è reso necessario per le attività ostili di miliziani che ancora oppongono resistenza e non per eliminare eventuali prove.

Sullo sfondo, registriamo il bombardamento effettuato dall’aviazione della Stella di David sulla base siriana di Tayfur, presidiata da soldati inviati da Teheran, da cui risultava essere decollato un drone armato, individuato in volo nello spazio aereo israeliano. Ebbene, sì: in questo calderone, va messo in conto pure il timore, da parte di Tel Aviv, che l’Iran pro Assad –  da sempre nemico giurato di Israele – approfitti della crisi per ammassare forze armate e rendersi minaccioso lungo il confine settentrionale.

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