Cronache dai Palazzi

Sulla scena il Consiglio europeo con importanti nodi da sciogliere: Brexit, quote obbligatorie di ripartizione dei rifugiati e difesa comune. Per quanto riguarda il primo tassello è stato presentato un dossier che sembra mettere d’accordo i 27. Il premier Paolo Gentiloni, intervistato da un quotidiano inglese, ha affermato a sua volta che l’Unione europea dovrebbe offrire a Londra “un accordo tagliato su misura”, anche se spetta alla Gran Bretagna indicare “il suo livello di ambizione” nei futuri rapporti con l’Unione europea. La prudenza di Gentiloni rivela la volontà di discostarsi da una posizione intransigente di ispirazione francese e acquisita dalla Germania.

Berlino ha comunque sottolineato la cooperazione in ambito  europeo, essenziale per la sussistenza di rapporti distesi : “L’intesa dei 27 Paesi della Ue nel negoziato per Brexit è stata preziosa”. La visione più o meno unanime “ha contribuito notevolmente all’attuale risultato”, hanno aggiunto le fonti berlinesi. Occorre ora passare alla seconda fase, avendo raggiunto un “progresso sufficiente”, ed è necessario ribadire che solo “insieme è possibile raggiungere soluzioni sostenibili per tutti i partecipanti”. In sostanza “la decisione spetta ai Capi di Stato e di governo e tutti gli Stati membri sostengono le decisioni comuni”. In Gran Bretagna, nel frattempo, la sconfitta in Parlamento di Theresa May ha di fatto indebolito l’autonomia negoziale del primo ministro inglese, che comunque non intende mollare. A proposito della seconda fase della Brexit, in particolar modo la trattativa sui rapporti commerciali, Theresa May ha dichiarato: “Non vedo l’ora di discutere della relazione speciale e ambiziosa, che voglio costruire con l’Ue in futuro”.

Un altro nodo da sciogliere riguarda le migrazioni, in particolare le quote obbligatorie di rifugiati da ricollocare nei vari Paesi, a proposito delle quali il presidente del Consiglio Donald Tusk ha messo i puntini sulle ‘i’, rigettando di fatto l’obbligo delle quote. Il Consiglio dei 28 capi di Stato e di governo dell’Ue si è infatti opposto alla proposta italiana di quote obbligatorie di ripartizione dei rifugiati e di riforma del Trattato di Dublino che, di fatto, affida i profughi al Paese di primo arrivo penalizzando soprattutto Italia, Grecia e Spagna.

Il gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca), sostenuto in maniera informale da diversi Stati del Nord, ha ribadito la propria netta opposizione all’accoglienza dei migranti anche in presenza del premier Gentiloni. L’unica svolta positiva è rappresentata da un mini-finanziamento (36 milioni) per difendere le frontiere in Libia, l’unico contributo di solidarietà che i quattro est-europei sarebbero disposti a concedere.

La proposta dell’Italia è naufragata nonostante anche Angela Merkel abbia speso delle buone parole a favore dell’accoglienza, auspicando “soluzioni basate sulla solidarietà all’interno dell’Europa” e ribadendo che “il sistema di Dublino non funziona”. Il presidente francese Emmanuel Macron ha a sua volta sottolineato la propria volontà di mediazione per “arrivare a risultati nel 2018”.

Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha poi fatto notare che i quattro di Visegrad si trovano “quasi agli estremi opposti sulla dimensione interna” rispetto al prospetto dell’Italia, per la quale le “quote obbligatorie” di rifugiati rappresentano “il minimo sindacale per l’Ue”. “L’Europa non può rimanere bloccata dai veti perché i cittadini non capirebbero”, ha invece sottolineato il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, ribadendo quindi la necessità di una decisione condivisa da Eurodeputati e membri del Consiglio dei governi. Tajani ha inoltre chiesto di votare “a maggioranza qualificata come prevedono i Trattati”, escludendo quindi il metodo dell’unanimità, anche per fronteggiare i veti degli Stati dell’Est europeo.

In materia di migrazioni per l’Italia esiste un ulteriore rischio: ritrovarsi, nella peggiore delle ipotesi, in campagna elettorale con sulle spalle una decisione tutta europea che di fatto depotenzia gli strumenti di solidarietà a favore dei migranti invece di renderli più solidi. Responsabilità e solidarietà, in pratica, continuerebbero ad essere considerati un dovere solo per i Paesi di arrivo.

Un passo in avanti si è invece compiuto a proposito di difesa militare comune con l’approvazione da parte di Francia, Germania e Italia della cooperazione permanente strutturata “Pesco”, che potrebbe far risparmiare ad ogni Paese fino al 30% della spesa militare nazionale. I primi 17 progetti militari sono stati condivisi da venticinque Stati membri.

Sul finire della legislatura l’Italia ha approvato le norme sul fine vita, uguali per strutture pubbliche e religiose, anche se il direttore dell’ufficio Cei per la Pastorale della Salute, don Massimo Angelelli, ha sottolineato: “Non ci riconosciamo nella legge. Tutela i medici sollevandoli da responsabilità e le strutture pubbliche. E carica la scelta sui malati senza pensare ai sofferenti”. Idratazione e nutrimento artificiale considerati come trattamenti rappresentano le questioni più discusse. La Cei ci tiene a puntualizzare: “Se un paziente dovesse chiedere di interromperle negli ospedali cattolici non si procederà”. I medici cattolici appaiono divisi e il presidente dell’associazione nazionale, Filippo Boscia, ha puntualizzato che i professionisti a favore sono “una minoranza”. Per Boscia risulta inoltre “incrinato il principio dell’indisponibilità della vita laicamente inteso”.

Il premier Gentiloni twitta invece che la legge sul testamento biologico rappresenta “un passo avanti per la dignità della persona”, sulla stessa linea i ministri Martina e Fedeli.

Su un altro fronte sono stati perfezionati i sistemi di valutazione per giudicare il lavoro dei dipendenti della Pubblica Amministrazione. Oltre agli “Oiv” – acronimo di Organismo indipendente di valutazione (entrato in vigore a giugno scorso ma completamente riformato) – anche i cittadini, attraverso dei meccanismi di “customer satisfaction” impiantati sui siti delle diverse amministrazioni, potranno esporre il proprio giudizio  e quindi il grado di soddisfazione per il servizio ottenuto. Le amministrazioni potranno inoltre decidere se metter in moto anche il sistema di valutazione degli utenti direttamente agli sportelli.

Stop quindi a valutazioni troppo generose o premi a pioggia. Dal 2018 nella Pubblica amministrazione ci saranno pagelle più severe e soprattutto più attendibili, sia per gli impiegati sia per i dirigenti. La riforma Madia ha di fatto raffinato la valutazione degli organismi indipendenti introdotta dalla riforma Brunetta nel 2009 con l’intento di attribuire premi o penalità a seconda dei veri risultati raggiunti nel corso dell’attività lavorativa e, soprattutto, chiamando a giudicare delle persone esterne invece che scelte dagli stessi giudicati come è avvenuto fino ad oggi. La selezione dei “controllori”, quindi, risulta alquanto raffinata e vigile. La riforma Madia parte da qui per cercare di ottenere una maggiore attendibilità dei giudizi.

In pratica ogni amministrazione dovrà scegliere i propri “valutatori” prelevandoli, obbligatoriamente, da un elenco nazionale – abbandonando quindi la vecchia prassi delle selezioni in totale autonomia – e dovrà rispettare un fondamentale criterio di incompatibilità in quanto non potrà farsi giudicare dai propri dirigenti. Le singole amministrazioni dovranno infine stilare una sorta di “catalogo” dei comportamenti dei lavoratori pubblici, che farà parte del sistema di misurazione e valutazione delle performance. In sostanza, le linee da seguire sono di due tipi: di carattere generale indicate da Palazzo Chigi e altre individuate direttamente dalle singole amministrazioni.

Per quanto riguarda i “valutatori” suddetti, potranno diventarlo tutti i cittadini purché abbiano conseguito una laurea  (triennale o specialistica) e siano estranei a condanne penali e giudizi di responsabilità per danno erariale. Occorre inoltre aver maturato un’esperienza professionale di almeno cinque anni nel settore della valutazione e non aver ricevuto, se dipendente pubblico, una sanzione superiore alla censura. Gli Oiv continueranno ad essere composti da uno o al massimo tre membri, l’incarico durerà massimo tre anni e potrà essere rinnovato una sola volta sempre dopo un’accurata selezione.

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