Cronache dai Palazzi

Il debito pubblico italiano continua a preoccupare i palazzi di Bruxelles, anche se la Commissione europea ha deciso di rinviare il giudizio finale sulla legge finanziaria al 2018, al mese di maggio. I motivi sono sostanzialmente due: il primo, di natura economica, consiste nel non ostacolare la ripresa che si sta dimostrando considerevole, anche se la flessibilità che l’Italia si è concessa non è gradita all’Ue; il secondo motivo è di natura politica e riguarda le riforme in essere, che Bruxelles non vuole ostacolare ma anche le prossime elezioni, che il nostro Paese si appresta ad affrontare in primavera, per di più con la probabilità di un periodo seguente di incertezza e di instabilità.

Il rinvio a maggio quindi ha le sue ragioni, non si tratta semplicemente di prendere tempo bensì è necessario un assestamento dei conti del 2017, anno in cui Bruxelles prefigura comunque “un deterioramento del bilancio strutturale che punta a una deviazione significativa rispetto agli sforzi di almeno lo 0,6% del pil raccomandati nel luglio 2016”. Bruxelles in pratica si aspetta una riduzione dell’indebitamento strutturale di 0,3 punti di pil che però Roma non garantirebbe. A Maggio, inoltre, a Palazzo Chigi ci sarà una nuova squadra di governo che dovrà prendere le decisioni oggi rinviate.

“La situazione economica in Italia sta lentamente migliorando ma è importante mettere il debito pubblico su un sentiero discendente e andare avanti con le riforme”. Il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, in un ‘intervista esclusiva rilasciata all’agenzia Ansa, fa un’analisi cruda ma puntuale della situazione nel nostro Paese, realizzando comunque un disegno meno cupo del quadro tracciato da Jyrki Katainen la settimana scorsa. “Tutti possono vedere dai numeri che la situazione italiana non migliora”, aveva severamente affermato Katainen, aggiungendo: “Gli italiani dovrebbero sapere qual è il vero stato delle cose”. Katainen ha inoltre sollecitato l’Italia a “dire la verità”.

L’analisi di Dombrovskis tende invece al chiaroscuro, “ci sono miglioramenti”, dice il vicepresidente, “il livello di crediti deteriorati sta scendendo, quest’anno più rapidamente” e in virtù degli interventi su Mps e le banche venete “circa 44 miliardi di euro, cioè il 13,5% dello stock totale, sta uscendo dal sistema bancario italiano”. Comunque nonostante le buone intenzioni e i buoni risultati già ottenuti “l’Italia resta ancora sotto la media Ue” e anche la disoccupazione, purché sia in discesa, anch’essa “resta sopra la media Ue”. Ma è soprattutto il debito che “resta fonte di vulnerabilità” e nel 2017 toglierà al Paese ben il 3,8% di Pil solo per il fatto di esserci. In questo momento “viviamo in un ambiente di tassi bassi, ma se c’è un cambio nella politica monetaria, se l’inflazione risale, il debito si somma ai costi e può essere fonte di instabilità. Perciò è importante usare questa congiuntura economica per farlo scendere”, dichiara Dombrovskis all’Ansa. Non sono infine da sottovalutare altri fattori che ostacolano la produttività, come “l’ambiente per le imprese, la normativa del lavoro, la giustizia”.

Il timone della flessibilità resta comunque fermo e l’Italia sembra rispettare il patto di stabilità e – sfuggendo fino ad ora una procedura specifica – nel complesso sembra aver assecondato anche la regola di riduzione del debito, pur essendo ancora bassi i parametri: nel 2018 ci si attende un calo del debito cosiddetto “marginale” pari al 130,8%, da 132,1% dell’anno in corso. La preoccupazione è che non riuscirà a scendere al di sotto di quota 130%  nel 2019. Il quasi pareggio è invece rinviato al 2020.

Bruxelles auspica che il governo italiano sia “pronto a prendere le misure necessarie per evitare una deviazione significativa”, anche se la necessità di quantificare una manovra da realizzare anche in futuro rimane il vincolo più importante, e nel contempo rappresenta il nodo più difficile da sciogliere. Sarà così anche per la prossima squadra di governo.

Per la Commissione europea il punto di partenza rimane una correzione pari allo 0,3% del pil, che viene considerato il “minimo sindacale” per rispettare le regole Ue (a fronte di un aggiustamento solo teorico di 0,6% del pil). In definitiva, per Bruxelles il bilancio 2018 può garantire una correzione pari solo allo 0,1%, per cui mancherebbero circa 3,5 miliardi. In una lettera indirizzata al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan la commissione Ue non ha quindi esitato a rimarcare la propria “preoccupazione” per la mancata riduzione dell’alto debito pubblico e dubbi a proposito di deficit strutturale.

Il ministro Padoan ha, a sua volta, ribadito che una manovra correttiva non è necessaria e ha sottolineato che la Commissione europea, oltre ai suddetti richiami, ha anche rimarcato “i grandi sforzi e i risultati ottenuti dal Paese e dagli ultimi due governi in termini di riforme strutturali, che stanno aiutando la crescita di lungo periodo”. Il vicepresidente Dombrovskis e il commissario europeo Pierre Moscovici hanno inoltre additato le maggiori incertezze nella strategia italiana, fondata su un livello sostenuto della crescita con entrate ingenti provenienti dalle privatizzazioni e clausole di salvaguardia già previste per il 2019-2020.

In primavera il prossimo governo sarà sottoposto a una verifica sul rispetto del “criterio del debito”, e nella situazione attuale Bruxelles ha chiesto “ulteriori chiarimenti” ammonendo, nel contempo, il governo italiano, il quale dovrebbe evitare “una retromarcia su importanti riforme strutturali di bilancio, specificamente sulle pensioni, che garantiscono la sostenibilità a lungo termine del debito”. La ripresa nel complesso si prefigura “fragile”, il tasso di disoccupazione è ancora sostenuto e il sistema bancario “vulnerabile”.

Il ministero dell’Economia ha comunque rimarcato il “dialogo costruttivo” con Bruxelles e, nonostante le reiterate richieste di flessibilità da parte di Padoan, Moscovici ha espresso un certo ottimismo per quanto riguarda i “buchi che devono essere coperti”. Il “rigorista” Dombrovskis ha auspicato per l’Italia un bilancio 2018 “senza annacquamenti”.

A proposito di pensioni l’impegno del governo Gentiloni, dopo l’incontro con i sindacati, è quello di trasformare in emendamento alla legge di Bilancio i dodici punti condivisi dalle parti. Tra le questioni più rilevanti l’esenzione dello scatto di cinque mesi del requisito di età, e quello contributivo per 15 categorie di lavoratori, confermati solo per il 2019; mentre l’adeguamento alla speranza di vita tornerà ad applicarsi nel 2021. Per ora le 15 categorie escluse dall’aumento dell’età, i cosiddetti “lavori gravosi”, sono le seguenti: operai dell’industria estrattiva e dell’edilizia; conduttori di gru o di scavatrici edili; conciatori di pelli e pellicce; assistenti di persone non autosufficienti; conduttori di treni; conduttori di camion e mezzi pesanti; infermieri e ostetriche con lavoro in turni; operatori ecologici; insegnanti di scuola dell’infanzia e asili nido, facchini e assimilati; addetti alla pulizia non qualificati; pescatori (sui pescherecci) e lavoratori marittimi (sulle navi); braccianti agricoli; operai siderurgici e del vetro.

Nei prossimi giorni verrà infine messo a punto il decreto direttoriale, firmato dal Ragioniere generale dello Stato e dal direttore generale delle Politiche previdenziali del ministero del Lavoro. Il suddetto decreto definisce lo scatto di cinque mesi per tutti i lavoratori: il requisito di età per la vecchiaia passerà quindi definitivamente da 66 anni a 7 mesi a 67 anni tondi. Mentre per la pensione anticipata si passerà da 42 anni e 10 mesi di contributi a 43 anni e 3 mesi (uno in meno per le lavoratrici). Il testo della legge di Bilancio chiarisce anche che, per quanto riguarda i  requisiti contributivi che permettono di accedere all’Ape sociale, grazie a nuovi fondi, le donne lavoratrici potranno usufruire di uno “sconto” di un anno, e non più di sei mesi, per ogni figlio. Sempre con un tetto massimo di due anni.

La Corte costituzionale ha dichiarato infine legittimo il decreto che ha introdotto l’obbligo di 10 vaccinazioni per gli alunni di 0-16 anni, con delle distinzioni tra scuola dell’infanzia, dove non si entra senza certificati, mentre nelle scuole elementari, nelle medie e per il biennio del liceo possono frequentare anche coloro che non sono in regola. “Il decreto protegge la salute dei bambini”, è la soddisfazione delle ministre contraenti Valeria Fedeli e Beatrice Lorenzin. È stato respinto, nel frattempo, il ricorso della Regione Veneto: la Corte argomenta che le misure del governo rappresentano una scelta “ragionevole” del legislatore nazionale, volta alla “tutela della salute individuale e collettiva”, basata sul dovere di solidarietà con l’obiettivo di evitare e limitare la diffusione di alcune malattie infettive. I giudici chiariscono comunque che “la mancata vaccinazione non comporta l’esclusione dalla scuola dell’obbligo dei ragazzi, che saranno inseriti in classi di alunni vaccinati”. Dal 2018-19 il sistema di trasmissioni di dati e informazioni tra scuole e Asl sarà infine più fluido e l’invio dei certificati sarà compito delle Asl.

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