A Ciambra (Film, 2017)

Jonas Carpignano (New York, 1984), padre italiano e madre afroamericana, al suo secondo lungometraggio, dopo Mediterranea (2015), conquista Cannes con A Ciambra e prenota un posto per la Notte degli Oscar 2018. Siamo certi che vedremo questo giovane regista sul podio a ritirare il premio per il miglior film straniero, proprio lui che è fuori dai circuiti cinematografici nazionali, ma che realizza un film molto italiano, nel senso classico del termine.  La sua storia di una comunità zingara insediata a Gioia Tauro, in un quartiere diseredato chiamato A Ciambra, popolato da africani, extracomunitari e italiani mafiosi, non si scorda facilmente, resta attaccata alla pelle, tanto è il suo crudo realismo.

Regia e sceneggiatura ricordano il miglior Pasolini, quello di Accattone e Mamma Roma, ma anche lo Scola di Brutti sporchi e cattivi, passando per Amore tossico di Caligari e il recente Non essere cattivo. Romanzo di formazione sulla crescita di uno zingaro quattordicenne inserito in un gruppo familiare dedito a piccoli furti, che stringe amicizia con un africano, finisce per tradire il solo amico per essere considerato un vero uomo dai familiari. Sceneggiatura che sembra procedere per improvvisazione, una volta scritto il canovaccio, con la macchina da presa che segue il ragazzino nei gesti del quotidiano, pedinandolo con la macchina a mano, secondo la lezione di Zavattini. Carpignano conosce il cinema e padroneggia la tecnica, usa molto la soggettiva, si abbandona a lunghi piani sequenza, panoramiche suggestive, alternate a frenetici e nervosi primi piani. Fotografia sporca, scenografia curata nei minimi particolari, musica composta da sonorità meridionali e africane, quasi a voler abbracciare tutti i sud del mondo. Parti oniriche che ricordano il cinema fantastico, ambientate in notturni favolosi colorati di un giallo ocra stemperato tra le fiamme di un fuoco crepitante. Interpreti non professionisti che sembrano portare loro stessi sul grande schermo, un’intera famiglia (Amato) interpreta il gruppo di zingari con bravura professionale. Pure qui la lezione di Pasolini è metabolizzata fino in fondo, pur compiendo un discorso personale che mette in primo piano i nuovi diseredati.

Pio Amato è straordinario, regge il film sulle sue gracili spalle di quattordicenne, che fuma, beve, ruba, non sa leggere e non sa scrivere, ma dimostra di avere un cuore, è un personaggio vero, al quale lo spettatore non può fare a meno di affezionarsi. A Ciambra è un film atipico nel panorama italiano contemporaneo, la cui visione è purtroppo confinata ai cineclub e alle proiezioni infrasettimanali delle sale collegate ai circuiti d’essai. Adatto ai cinefili veri, che non si accontentano di Pieraccioni, Mandelli, Siani e Ruffini. Non siamo in molti, almeno in provincia. Ma non disperiamo. Verranno tempi migliori. Imperdibile.

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Regia: Jonas Carpignano. Soggetto e Sceneggiatura: James Carpignano. Fotografia. Tim Curtinn. Montaggio: Alfonso Gonçalves. Musiche: Dam Romer. Scenografia: Marco Ascanio Viarigi. Produttori: Jon Coplon, Paolo Carpignano, Marc Schmidtheiny, Christoph Daniel. Produttore Esecutivo: Martin Scorsese. Case di Produzione: Rai Cinema, Stayblack, RT Features, Sikelia Productions. Produzione: Italia, Francia, Germania. Distribuzione: Academy Two. Genere: Drammatico. Durata: 118’. Interpreti: Pio Amato, Koudous Seihon, Iolanda Amato, Damiano Amato.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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