Cronache dai Palazzi

Crescita in rialzo. Il premier Gentiloni considera i numeri dell’Istat la “base per rilanciare economia e posti di lavoro”. La stima preliminare del Pil relativa al secondo trimestre, elaborata dall’Istituto nazionale di statistica, attesta una crescita dello 0,4% su base trimestrale e dell’1,5% su base annua, in sostanza le cifre migliori nel corso degli ultimi sei anni. La crescita sembra essere consecutiva ormai da dieci trimestri e, tra aprile e giugno, hanno incentivato l’economia italiana soprattutto il settore industriale e il settore dei servizi. I dati positivi sono supportati anche dal Fondo monetario internazionale che ha annunciato un più 1,3% su base annua e dalla Banca d’Italia (+1,4%).

Per ora però si tratta di stime, seppur positive, e per avere delle certezze bisognerà aspettare l’inizio dell’autunno e quindi la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def), attesa per la fine di settembre.

I ritmi di crescita del Bel Paese rimangono comunque al di sotto della media europea e, per di più, un eventuale aumento del Pil non corrisponderebbe ad un altrettanto corso positivo degli incrementi occupazionali. L’opposizione a sua volta parla di “soddisfazione ingiustificata”, mentre il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan rivendica i meriti del governo attuale, ma anche di quello precedente per “aver accompagnato le misure strutturali pensate per la crescita”, nonostante le “poche risorse a disposizione” che nella prossima Legge di Bilancio dovranno essere concentrate su “misure per incentivare le assunzioni dei giovani che cercano lavoro”. Nella nuova finanziaria ci sarà molto probabilmente anche una norma che rallenta l’aumento dell’età pensionabile che nel 2019 dovrebbe raggiungere 67 anni, cinque mesi più del limite attuale, anche se la correzione comporterebbe un investimento di almeno 1,2 miliardi di euro per ogni anno di rinvio.

La crescita reale dell’economia risulta migliorata ma l’inflazione troppo bassa rende l’incremento del prodotto interno lordo ancora lontano dall’obiettivo. Deficit e debito sono ancora troppo consistenti e il miglioramento dell’economia non è ancora in grado di “aiutare” la manovra di finanza pubblica, né di incrementare l’occupazione. Se la crescita raggiungesse quota 2,3%, come del resto ipotizzato dal governo, deficit e debito assumerebbero di certo un altro peso. Il quadro limitato spiega la prudenza dell’esecutivo anche nelle spiegazioni. Non a caso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan riferisce di un percorso stretto per la politica di bilancio.

Nell’aggiornamento del Def, che Padoan presenterà a fine settembre, le stime della crescita dovranno essere corrette non solo per l’anno in corso ma anche per il 2018. I benefici di un’eventuale accelerazione potrebbero addirittura raggiungere un volume di 5 miliardi anche se i tecnici di via XX Settembre sembrano più prudenti senza tirare in ballo grandi cifre. Di certo nel 2018 occorrerà provvedere ad un generale “sminamento” degli aumenti dell’Iva, che la legislazione vigente prevede, sbloccare le risorse per finanziare il contratto dei lavoratori del pubblico impiego, ed infine procurare i soliti 2-3 miliardi per le spese correnti. Il governo dovrà inoltre continuare a sostenere il ciclo dell’economia che proprio ora comincia a beneficiare delle riforme portate a termine negli ultimi anni. Padoan mira a destinare le “poche risorse a disposizione” (fra 1 e 2 miliardi) agli sgravi fiscali e contributivi per l’assunzione dei giovani a tempo determinato. Una manovra, quest’ultima, che i tecnici definiscono “selettiva ma strutturale”: selettiva perché non interesserà tutti i lavoratori ma solo i più giovani al di sotto dei 32 anni. Strutturale in quanto sembra essere un’operazione di lungo periodo.

Il pacchetto “lavoro per i giovani” sembra essere una delle poche certezze della prossima legge di Bilancio. Il primo step sarà il dimezzamento dei contributi previdenziali versati dalle aziende per tutti i neoassunti di età inferiore ai 32 anni, un maxi incentivo del quale le imprese usufruiranno per i primi due anni di contratto, anche se c’è in ballo anche l’ipotesi di estendere il periodo a tre anni. L’aliquota passerebbe così dall’attuale 30-33% al 15-17,5% ma lo sconto non potrà comunque superare i 3.250 euro l’anno. Tale tipo di incentivo non influirà sulla futura pensione del lavoratore e la somma non versata dall’azienda verrà coperta dallo Stato. L’intera operazione comporta ovviamente un costo da sostenere: circa un miliardo di euro per il primo anno e sui due miliardi per i periodi successivi.

In Italia il tasso di disoccupazione resta comunque alto, sopra l’11 per cento, mentre la media europea si attesta intorno al 9 per cento. In questo contesto oltre alla manovra della limatura del cuneo fiscale per i giovani neoassunti, l’altra operazione a breve termine per supportare la crescita è il sostegno degli investimenti, pubblici e privati. La conferma degli incentivi all’ammortamento degli investimenti delle imprese potrebbe invece essere prorogata, anche se rimane una priorità per l’esecutivo di Gentiloni che si avvia alla legislatura, e che dovrà quindi confezionare la propria ultima legge di Bilancio cercando di fronteggiare le diverse parti politiche.

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