Cronache dai Palazzi

Un elenco delle “emergenze” che il Paese deve affrontare. È questo, in estrema sintesi, il contenuto del discorso del presidente della Repubblica in occasione della cerimonia del Ventaglio al Quirinale. Un discorso la cui chiosa è la legge elettorale che, di certo, occupa un posto di rilievo tra le emergenze. “Ho esortato tante volte – ha ammonito Mattarella -, ricordando il dovere del Parlamento rispetto alla centralità e delicatezza delle regole elettorali. Ecco perché esprimo rammarico per il dissolversi di un metodo di larghe intese sulle regole che devono essere comuni”. Con amarezza il capo dello Stato ha rimarcato “disomogeneità e lacune” che “rimangono tuttora nelle norme vigenti, frutto solo parziale delle scelte del Parlamento”. Nonostante tutto, per il presidente Mattarella “c’è ancora la possibilità di intervenire” ma occorre un impegno serio da parte di Camera e Senato per colmare i gap di una legge in sostanza mutilata dopo il verdetto della Corte costituzionale.

Il termine naturale della legislatura (marzo 2018) non è più così lontano “per cui le elezioni sono ormai vicine”, ha ricordato Mattarella. Si tratta comunque di “un momento della vita democratica da guardare con la serenità” che può essere coadiuvata da “un’ampia partecipazione dei cittadini” alle urne, un obiettivo al quale mirare anche e soprattutto attraverso “un confronto svolto su programmi e proposte seriamente approfondite”, al contrario un dibattito “caratterizzato da rissosità o che si esprimesse solo in slogan facili ma illusori allontanerebbe gli elettori”. In sostanza “occorre far di tutto perché la politica non si esaurisca nella propaganda”.

Non si può inoltre dimenticare la crisi. Il Capo dello stato annovera tra le urgenze anche la prossima legge di stabilità, rimarcando che l’Italia può vantare nel settore economico “previsioni positive” e quindi una certa “crescita”, ma occorre non abbassare la guardia. La svolta in pratica non è compiuta, ragion per cui “è necessario accompagnare questa stabilizzazione e ripresa per consentirle di consolidarsi e per assicurarci la possibilità di recuperare progressivamente le ferite sociali inferte dalla crisi”. La finanziaria e la prossima legge di stabilità rappresenteranno la cartina di tornasole per quanto riguarda la “reputazione” dell’Italia di fronte ai mercati e all’Unione europea.

Su un altro versante continuano le trattative in materia di migranti. “La Libia ci ha chiesto di inviare navi italiane in acque libiche contro i trafficanti di esseri umani”, ha annunciato il premier Paolo Gentiloni durante la conferenza stampa a ridosso dell’incontro a Roma con il primo ministro libico Fayez al Sarraj. Una richiesta che il governo italiano considera essenziale per la gestione bilaterale dell’ingente flusso migratorio che dall’Africa muove  verso l’Italia e l’Europa. L’Unione europea, a sua volta, in particolare il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, in una lettera inviata a Palazzo Chigi ha ribadito la volontà “di concedere risorse aggiuntive per l’emergenza immigrati e l’impegno politico dell’Unione”. In  questo contesto Paolo Gentiloni ha sottolineato che “sui migranti, anche economici, serve un impegno comune. Non ci rassegniamo all’idea che questa sfida sia lasciata ai singoli Paesi per scelta del caso e della geografia”.

Come richiesto dalle autorità libiche, le quattro commissioni di Esteri e Difesa di Camera e Senato stanno mettendo a punto “i dettagli della missione di sostegno” per poi procedere con un provvedimento dell’esecutivo, molto probabilmente un decreto legge, che verrà sottoposto al Parlamento già la prossima settimana. Il testo del provvedimento annovera le mosse principali della missione italiana nelle acque territoriali libiche, con l’obiettivo di supportare le autorità locali nel contrasto ai trafficanti di esseri umani. La missione si avvarrà delle navi e degli aerei dell’operazione Mare sicuro (intrapresa nel marzo 2015) le cui forze (5 navi, 5 aerei e circa 700 militari) verranno rimodulate. Poter inviare navi italiane rappresenta “un punto di svolta”, ha dichiarato il premier Gentiloni che ha aggiunto: “Dobbiamo rafforzare le capacità di controllo, avere la possibilità di accogliere migranti, decidere i rimpatri e dare asilo a chi ne ha diritto”.

Occorre agire con la massima serietà e oculatezza, al bando ogni forma di improvvisazione, come ha ammonito il ministro degli Esteri Angelino Alfano commentando la marcia indietro del presidente francese Macron a proposito degli hotspot in Libia (già dall’estate) per avviare operazioni di pre-valutazione delle domande dei richiedenti asilo. “I campi in Libia vanno gestiti dalle organizzazioni internazionali, come l’Unhcr – ha dichiarato Alfano -, non è una materia che si può affrontare con battute improvvisate”. Per l’Eliseo “prima devono essere rispettate le condizioni di sicurezza e al momento non ci sono”. In verità fonti vicine al presidente francese hanno svelato che l’obiettivo di Macron non è la creazione di hotspot come quelli strutturati dall’Italia (all’interno dei quali i migranti vengono identificati e registrati) ma semplici centri di “orientamento e pre-verifica” delle richieste d’asilo. In pratica si tratterebbe di una ipotesi di lavoro e come ha precisato il ministro agli Affari europei francese, Nathalie Loiseau, la Francia “verificherà se e come” farli i centri di “orientamento e pre-verifica”, per ora solo annunciati.

Al di là dello sviluppo delle intese tra i Paesi europei e di quest’ultimi con le autorità libiche, le condizioni dei centri di migranti in Libia continuano ad essere disastrose. L’Unione europea ha stanziato circa 136 milioni di euro per progetti legati alla migrazione in Libia, trai quali un sostegno diretto alle attività dell’Oim e dell’Acnur per migliorare lo stato dei campi, identificare le persone bisognose di tutela internazionale e favorire i rimpatri volontari. La situazione di totale insicurezza in cui versa il Paese nordafricano rimane però l’ostacolo più difficile da rimuovere.

Le operazioni militari in comune prevedono lo schieramento di una task force italiana che dovrà coordinarsi con le forze militari libiche per condurre le operazioni in mare “coadiuvando le forze locali nello svolgimento delle attività di polizia marittima” e, sopratutto, collaborare “al controllo dei confini per sostenere le prerogative della sovranità dello Stato” mirando, quindi, al ripristino della legalità in Libia.

Per tutelare il personale militare (italiano) in territorio straniero verrà attuato il modello “Sofa” della Nato che mira a “concedere ai militari presenti nei Paesi ospiti la massima immunità possibile rispetto alle leggi locali”, mentre a proposito del respingimento dei migranti il modello da utilizzare è quello della “missione Alba” che nel 1997 fu adottato per arrestare il flusso migratorio dall’Albania verso la Puglia. Il governo libico guidato da Al Sarraj dovrà infine garantire alle persone rimpatriate un trattamento rispettoso dei diritti umani, una condizione che dovrà essere verificata anche a livello internazionale.

Nel frattempo il Viminale ha messo a punto un Codice di autoregolamentazione per le Ong a proposito dei salvataggi in mare, un codice che per il ministro dell’Interno Marco Minniti “deve entrare subito in vigore”. “È essenziale per la sicurezza del nostro Paese”, ha spiegato Minniti, in quanto “più del 40% dei migranti salvati arrivano in Italia su navi delle Ong che sono tecnicamente navi private”. Tra i punti più controversi l’impegno a far salire a bordo agenti di polizia giudiziaria. “Non accetteremo la presenza della polizia a bordo, siamo un’organizzazione umanitaria, salviamo vite”, ha dichiarato Sandra Hammamy di Sea Watch a ridosso dell’incontro al Viminale. Fonti del ministero dell’Interno assicurano, a loro volta, che la polizia giudiziaria a bordo è comunque “a tutela di chi agisce nell’attività di salvataggio”.

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