Una lezione per l’Italia dalle Elezioni francesi

I risultati delle elezioni legislative francesi indicano una chiara e forte vittoria del partito fondato da Emmanuel Macron, “En marche”, sia nella percentuale di voti (oltre il 32%) sia, soprattutto, nel numero dei seggi in Parlamento. Per conoscere l’ampiezza della vittoria, bisognerà naturalmente attendere i ballottaggi di domenica prossima, ma le proiezioni attribuiscono a Macron oltre 400 deputati, molti di più della maggioranza richiesta. La destra dei “Républicains” ha mostrato una certa tenuta, mentre sia Melenchon che la Le Pen hanno perduto voti rispetto alle presidenziali.

È evidente che i francesi hanno voluto dare al Presidente, eletto col 65% dei voti, i mezzi per governare efficacemente potendo contare su una Camera dei Deputati amica (il Senato in Francia non ha funzioni politicamente rilevanti). Questo è un bene, non solo per la Francia ma per l’Europa. Emmanuel Macron ha chiaramente dichiarato il proprio europeismo, ma anche la volontà di migliorare le istituzioni e le politiche di Bruxelles riavvicinandole al cuore della gente. Con un Parlamento disposto a seguirlo, il suo compito sarà meno arduo.

C’è in tutto questo una lezione per l’Italia: il sistema uninominale a doppio turno è il solo veramente limpido e il solo che garantisce, al 90%, che ci sia un vincitore che governa e un’opposizione. Si potrebbe obiettare che questo non è successo in Gran Bretagna, ma in quel Paese non c’è doppio turno: vince chi arriva primo, anche se con una percentuale molto inferiore al 50%, Questa non è piena democrazia, ma relitto di un’epoca in cui esistevano solo due partiti: “Whig” e “Tories”, conservatori e laburisti, come succede negli Stati Uniti.

In Italia ci stiamo tormentando attorno a leggi elettorali, una peggiore dell’altra e spesso incostituzionali. L’infame “Porcellum” dava la maggioranza in Parlamento a chi non superava neppure un terzo degli elettori. L’Italicum “ costituiva certo un miglioramento, ma era a mio avviso arzigogolato e conteneva un “vulnus” della democrazia causato dal premio di maggioranza. Il sistema tedesco discusso alla Camera e su cui pareva esservi l’accordo dei quattro principali partiti, mancava anch’esso di chiarezza e non credo avrebbe prodotto il risultato della governabilità.  Anch’esso dava l’impressione di un’opera di ingegneria politica volta a contemperare gli interessi di tutti i partecipanti al patto. Il sistema comunque è morto e c’è tutto da rifare. Il solo lato buono è che ciò rimanda le elezioni alla primavera del prossimo anno (anticiparle avrebbe danneggiato il Paese, come ha ricordato Giorgio Napolitano, ora che l’economia mostra buoni segni di ripresa, e Gentiloni sta facendo un lavoro più che dignitoso).

Ma, una legge elettorale è necessaria. E allora sarebbe legittimo dire ai partiti più responsabili: smettetela di cercare compromessi pasticciati e leggi “ad hominem”. Siate per una volta onesti e chiari. Da un lato c’è la proporzionale pura (magari con soglia di sbarramento) o la sua variante “tedesca”. Si può ritenere che rappresenti il massimo della democrazia, o sostenerla (come Berlusconi) solo nel proprio interesse, ma produrrebbe con certezza un Parlamento senza maggioranza  e imporrebbe una coalizione, di fronte a cui le animucce sensibili della sinistra  e della destra salviniana storcono il naso. E del resto, non è vigente in nessuna delle grandi democrazie occidentali.

L’uninominale elimina le forze minori, o piuttosto le obbliga per sopravvivere ad unirsi ad altre affini in liste a base ampia. Ma permette, collegio per collegio, competizioni aperte, il cui risultato non dipende solo dall’appartenenza di partito, ma dalla qualità dei candidati, ciò che obbliga i partiti a scegliere i più adatti a riscuotere il consenso popolare. L’uninominale secca di tipo inglese può portate a un risultato distorto, ma il doppio turno lo corregge. Funziona nelle Amministrative, perché dovrebbe essere considerato eretico a livello nazionale? Se lo facessero, Renzi e Berlusconi insieme acquisterebbero un gran merito di fronte al Paese.

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