Iran, Rohani ha vinto. Ed ora?

Rieletto ottenendo il 57% delle preferenze, il Presidente moderato ha a disposizione un altro mandato per rilanciare l’economia e promuovere il rientro degli investimenti esteri.

La suspense non è durata molto. Il giorno dopo uno scrutinio caratterizzato da una forte partecipazione (più del 70%), e file di elettori impegnati fino alla mezzanotte dello scorso venerdì 19 Maggio, gli iraniani hanno nuovamente scelto la moderazione. Alle 10.30 di Sabato 20 Maggio, la televisione di Stato ha fatto le congratulazioni all’ecclesiastico moderato, quando mancavano al conteggio ancora un terzo delle schede elettorali. Ma il suon vantaggio sul conservatore Ebrahim Raisi (57% contro 38,5%) era sufficientemente importante da non lasciare speranze al suo competitor su un’inversione di tendenza.

Alla fine di una campagna elettorale lampo durata appena tre settimane, segnata dai vivaci scambi di battute tra candidati in occasione dei tre dibattiti trasmessi dalla televisione di Stato, l’elettorato iraniano (57 milioni di persone) ha bocciato il conservatorismo e la chiusura rappresentati dall’ecclesiastico Ebrahim Raisi, nonostante disponesse del sostegno dell’apparato di Stato conservatore. Ma il desiderio di apertura della società iraniana, a maggioranza giovane ed istruita, l’uso massiccio dei social network (soprattutto l’applicazione Telegram, utilizzata da 25 milioni di iraniani) per diffondere le informazioni, così come il funesto ricordo dei due mandati dell’ex Presidente ultra-consevatore Mahmoud Ahmadinejad, sembra aver fatto la differenza. Rieletto con 23,5 milioni di voti, Hassan Rohani ha in mano un mandato popolare sufficientemente solido per affrontare le opere titaniche che si presentano sul suo cammino. Prima di tutto un serio rilancio dell’economia. Nonostante la firma dell’accordo sul nucleare iraniano del Luglio del 2015, che ha permesso di mettere fine ad alcune sanzioni internazionali, gli investimenti esteri hanno difficoltà a ripartire. La colpa va data in parte alle sanzioni americane sempre in piedi, che impediscono alle banche straniere presenti negli Stati Uniti, o che commerciano in dollari, di investire nella Repubblica Islamica. E non è sicuramente l’arrivo al potere alla Casa Bianca dell’imprevedibile Donald Trump, apertamente anti-iraniano, che faciliterà la missione. Prova ne è le ultime dichiarazioni fatte dall’Arabia Saudita.

C’è poi il problema dell’opacità delle imprese iraniane, molte delle quali sono strettamente legate ai Guardiani della Rivoluzione, esercito ideologico della Repubblica Islamica entrato nel settore degli affari negli anni ’90 e che rimane nella lista nera degli Stati Uniti. Ciò dissuade un buon numero di imprese europee ad impegnarsi in Iran. Dei 50 miliardi di dollari di investimenti all’anno promessi dal Presidente iraniano dopo l’entrata in vigore dell’accordo sul nucleare nel Gennaio 2016, solo poco più di un miliardo di dollari è stato realmente investito in Iran. A livello economico, Rohani è lontano dal traguardo prefissato. Dovrà intraprendere una seria riforma dell’economia, marcata da un settore pubblico sovradimensionato, poco produttivo e caratterizzato da un’occupazione sproporzionata. Se non aggredisce subito queste spinose questioni, l’ecclesiastico avrà sempre più difficoltà a rispondere alle aspettative della popolazione in materia di economia, tema centrale sul quale il Presidente è stato più volte attaccato in campagna elettorale. La disoccupazione rimane oggi endemica (12,5% della popolazione attiva, di cui 27% tra i giovani). Sicuramente l’inflazione è precipitata al 9,5%, e la ripresa delle esportazioni del petrolio (2,8 milioni di barili al giorno) ha permesso al Governo di mostrare una crescita  del 6,6% per l’anno appena trascorso. Ma sfortunatamente questa non ha avuto effetti tangibili sulla vita quotidiana degli iraniani. E le aspettative del Fondo Monetario Internazionale sono lontane dall’essere rassicuranti: si fermano su una previsione di crescita per il 2017-2018 del 3,3%, un tasso molto basso per assicurare un riassorbimento della disoccupazione.

Altro settore sul quale Hassan Rohani è aspettato al varco è quello delle libertà pubbliche. Se le restrizioni sull’abbigliamento imposte alle iraniane si sono ammorbidite nel corso degli ultimi quattro anni, e che gli ambienti della stampa, dell’editoria e del cinema godono di una miglio salute rispetto ai tempi di Ahmadinejad, il Presidente moderato non è riuscito durante il suo mandato ad impedire gli arresti di giornalisti, studenti, artisti e uomini di affari accusati di agire contro la sicurezza nazionale. Contrariamente alle promesse fatte durante la campagna del 2013, che gli avevano fatto guadagnare una vittoria al primo turno, Rohani non ha potuto liberare due importanti esponenti dell’opposizione, i riformatori Mir Hossein Moussavi e Mehdi Karoubi, agli arresti domiciliari dal 2011 per essere stati alla guida del Movimento Verde nel Giugno del 2009. Il fatto è che in Iran, il Presidente della Repubblica Islamica non è il vero Capo di Stato iraniano. Questa funzione rimane appannaggio della Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, rappresentante del 12° Imam occulto sciita (il Mahdi), e nominato a vita. Frutto della sfera d’influenza conservatrice del potere iraniano, la Guida conduce il Consiglio supremo della sicurezza nazionale, che ha l’ultima parola su tutte le decisioni strategiche del Paese, ed è comandante in capo delle forze armate, soprattutto dei potenti Guardiani della Rivoluzione. Ma Hassan Rohani non è da meno. Anche lui fa parte dei pesi massimi della Repubblica Islamica. Ex Segretario Generale del Consiglio Supremo della sicurezza nazionale, questo fine politico ha saputo creare intorno a lui una larga coalizione che va dai riformatori ad alcuni conservatori, cosa che gli ha permesso di ottenere nel 2016 la maggioranza assoluta nel Majless  (Assemblea).

Se, secondo gli osservatori, la sua strategia durante il primo mandato è stata quella di non opporsi alla Guida Suprema, forte della sua seconda vittoria e disponendo della maggioranza parlamentare, ha sicuramente in mano buone armi in questo secondo mandato. Non potendo essere eletto per la terza volta consecutiva, come vuole la Costituzione, Hassan Rohani dovrà prendersi dei rischi se non vuole deludere il suo elettorato, che nonostante un bilancio mediocre, ha dato prova di rara maturità politica rieleggendolo, evitando un pericoloso passo in dietro. “Il mio Governo non è riuscito a fare diverse cose, ma con più del 51% delle preferenze, diventeranno possibili”, aveva promesso il Presidente-candidato prima del voto. Ce la farà?

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