Italia delle Regioni

Il contributo delle Regioni al Piano Nazionale di Riforma in occasione del Consiglio Europeo sulla Coesione Europea, Nazionale e tra i territori regionali: un esempio di collaborazione istituzionale.  “Siamo determinati a dare un futuro alla politica regionale di coesione nell’Unione Europea, post 2020. Il 20 aprile, su mandato della Conferenza delle Regioni ho avuto modo di confrontarmi con il Ministro della Coesione Territoriale, Claudio De Vincenti e con il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Sandro Gozi, con l’Anci e con i sindacati, in coincidenza del “Consiglio Europeo Coesione” che si è svolto in Lussemburgo il 25 aprile. L’occasione ha consentito di fare il punto sulle posizioni che il nostro Paese andrà ad assumere a Bruxelles e ha consentito di approfondire aspetti e strumenti che consentano al Sistema Italia di fare squadra e di utilizzare al meglio le risorse europee”.

Lo ha dichiarato la Presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini, Coordinatrice della Commissione Affari Europei ed Internazionali della Conferenza delle Regioni. Nel corso dell’incontro la Presidente Marini ha anche illustrato e consegnato al Ministro un documento adottato dalla Conferenza delle Regioni dedicato proprio sul futuro della politica regionale di coesione”.

“La collaborazione istituzionale rappresenta comunque – ha proseguito la Marini – il criterio cui è improntata l’azione della Commissione Affari Europei della Conferenza delle Regioni come è emerso anche in occasione del contributo elaborato, in previsione del Def 2017, per il Programma Nazionale di Riforma.

Il PNR racchiude l’insieme degli interventi con cui il Paese risponde alle raccomandazioni fornite dall’Unione Europea. Per il quinto anno consecutivo le Regioni hanno fornito un contributo alla stesura del Programma. Un esercizio che ormai è divenuto riferimento europeo come best practice del sistema regionale italiano. Nel documento che abbiamo approvato proprio nel corso della Conferenza delle Regioni del 6 aprile si mettono in rilievo gli sforzi e le azioni intraprese dalle Regioni e dalle Province Autonome per rispondere alle raccomandazioni europee inviate all’Italia. Andando per titoli si tratta di interventi per: la riduzione del rapporto fra il debito pubblico e il PIL; le politiche attive del lavoro e la lotta alla povertà; contrastare la dispersione scolastica e per il miglioramento dei percorsi di formazione professionale; la riduzione dei consumi energetici e delle emissioni che incidono sul clima; la ricerca e la diffusione del digitale; la costituzione di centrali di acquisto e di reti di stazioni appaltanti. Non solo, quest’anno il contributo delle Regioni ha fatto riferimento anche agli obiettivi di sviluppo sostenibile previsti nell’Agenda mondiale 2030, entro cui possono collocarsi coerentemente gli obiettivi UE 2020.

Infine, voglio segnalare – ha concluso Marini – che quest’anno abbiamo arricchito il contributo delle Regioni attraverso un riepilogo delle best practices realizzate sul territorio. L’auspicio è che attività di questo genere possano essere emulate ed esportate e che soprattutto consentano un dialogo migliore tra il centro e le istituzioni regionali”.

Il futuro della politica regionale di coesione: la politica di coesione è l’unica politica europea che ha obiettivi precisi e risultati misurabili: gli Stati membri e la Commissione europea misurano l’impatto dei programmi attraverso opportune valutazioni.

Le Regioni italiane nel documento di sintesi sulle politiche di coesione territoriale europea: 1– ribadiscono che la politica di coesione post 2020 deve mantenere il suo sostegno a tutte le Regioni europee, continuando ad avere come obiettivo prioritario “la riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e del ritardo delle regioni meno favorite” (Art. 174 TFUE); 2– sono convinti che il Pil pro capite debba essere confermato quale principale indicatore di riferimento per la classificazione delle regioni e l’allocazione dei fondi; 3– sono favorevoli ad una forte armonizzazione delle regole relative ai cinque fondi SIE e ritengono che occorra ipotizzare il superamento delle logiche settoriali per fondo, che molto spesso hanno mostrato gravi limiti, attraverso l’introduzione di un unico strumento normativo di programmazione; 4– auspicano che il modello di gestione condivisa e multilivello sia ulteriormente valorizzato, precisando meglio i ruoli e le responsabilità dei livelli di governo, e in particolare rafforzando le competenze in capo alle autorità regionali, le quali in virtù del loro radicamento territoriale restano gli attori più adatti a programmare ed effettuare gli interventi; per attuare la politica in modo ancora più efficace, è necessario promuovere ulteriormente un coinvolgimento attivo del partenariato, non solo nella fase ascendente della programmazione, ma anche nella fase discendente di supporto all’implementazione e alla diffusione dei risultati; 5– ritengono che la politica di coesione post 2020 debba dare una risposta più forte alle sfide sociali che investono l’Europa, continuando a contribuire all’incremento delle opportunità occupazionali, di rafforzamento delle competenze delle persone, di miglioramento generalizzato dei livelli di istruzione e di formazione. Contemporaneamente non può perdere la dimensione “inclusiva” che ha acquisito con l’attuale programmazione, rivolgendosi alla presa in carico di problematiche di integrazione e contrasto alla marginalità ed alla fragilità che caratterizzano il continente europeo e l’Unione in particolare, occupando in tal modo un ruolo di primo piano nell’attuazione del futuro pilastro sociale dell’UE; 6– ritengono che la politica di coesione debba conservare la propria natura strategica, ossia continuare ad essere declinata su obiettivi di lungo periodo. D’altra parte, occorre conferire ai programmi un’architettura più versatile, nonché snellirne le lunghe e macchinose procedure di revisione, al fine di consentire una risposta più puntuale all’evoluzione dei contesti socio-economici locali; 7- riconoscono che gli strumenti finanziari possono rappresentare una modalità attuativa dei programmi e che gli stessi possano quindi – in determinati casi – costituire un’alternativa o un complemento alle sovvenzioni. Ritengono che il ricorso agli strumenti finanziari debba essere considerato solo qualora ne sia verificata a titolo preliminare la maggiore efficacia rispetto alle sovvenzioni nel raggiungimento degli obiettivi strategici della programmazione.

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