La scelta francese

Non ricordo, in tanti anni di vita, un’elezione presidenziale francese tanto strana e controversa ed una in cui le scelte siano così marcate, drammatiche e contraddittorie. Era partita nel modo tradizionale: un candidato della destra moderata ed europeista, Francois Fillon, dato per sicuro partecipante al ballottaggio contro Marine Le Pen, che – si pensava – avrebbe potuto sconfiggere senza difficoltà, perché proponeva ricette di destra in forma accettabile. Il candidato socialista era considerato in partenza perdente, data la diffusa impopolarità di Francois Hollande, la sinistra estrema di Melenchon era considerata quasi folclorica  e pochissime possibilità venivano date a Emmanuel Macron, indipendente di origine socialista e creatore di un movimento proprio, “En marche”.

Poi, nel giro di pochi mesi, tutto è cambiato. Gli affari personali (alquanto sordidi) di Fillon hanno trasformato, nelle parole di Le Figaro, “una vittoria imperdibile in una sconfitta programmata”, a sinistra la candidatura di Melenchon (populista, antieuropeo e filorusso) è cresciuta fino a divenire uno spauracchio concreto, tanto che, fino a pochi giorni fa, c’era chi seriamente temeva un doppio turno tra Marine Le Pen e Melenchon (uno scenario da orrore). Si è speculato molto sui possibili effetti dell’ultimo attentato a Parigi (Trump, stupido quanto arrogante fan della Le Pen, ha gongolato). Probabilmente qualche voto in più l’attentato lo ha portato alla destra, moderata ed estrema, ma il suo effetto complessivo è stato irrilevante. Basti pensare che a Parigi, direttamente colpita dai vari attentati terroristi, la Le Pen ha appena superato il 4% dei voti. In sostanza, a beneficiarsi della caduta di immagine di Fillon è stato Macron, su cui nessuno avrebbe scommesso un euro un anno fa. Ora tocca a lui affrontare Marine Le Pen, da una posizione di seppur lieve vantaggio. Ce la fará? Tutti si accordano a dire che nulla è scontato, Macron ha già avuto l’appoggio pubblico dei socialisti e stupirebbe che i voti di Melenchon passassero all’estrema destra. E tuttavia, nella volubilità e mobilità della politica odierna, tutto è possibile. Determinante sarà alla fine l’orientamento degli elettori di Fillon, chiamati a scegliere tra una destra estrema e un centro che ad alcuni pare fin troppo di sinistra. Fillon ha già dichiarato che “non voterà per l’estremismo”, facendo quindi capire che voterà Macron, ma questo vuol dire poco: i voti non sono proprietà di chi li ha ricevuti al primo turno, questa è ormai una verità consacrata.

Molto dipenderà anche da quanti voteranno il 7 maggio. Al primo turno la partecipazione è stata molto alta, ma solitamente al secondo turno è minore perché chi ha votato per un candidato sconfitto spesso non è stimolato ad andare alle urne. È per esempio possibile che una parte degli elettori di Melenchon disertino il voto, con un effetto difficile da calcolare sulle percentuali necessarie a vincere.

Insomma, chi pensa che tutto sia risolto e Macron abbia la vittoria in tasca si sbaglia. Certo, c’è il precedente di Chirac che, al secondo turno, batté il padre di Marine Le Pen coll’85% dei voti e molti sperano che si ripeta il fenomeno della “alleanza repubblicana” di tutti contro la destra estrema. Ma i tempi sono cambiati, i problemi e anche le paure della gente sono cambiati. Insomma, da lunedì 24 è iniziata una nuova campagna elettorale, che ha poco a che fare con quella per il primo turno.

Le opzioni ora sono solo due, e ambedue chiare. I due candidati sono all’opposto su tutto o quasi. Ma il tema di maggior controversia riguarda il futuro dell’Europa. La Le Pen è decisa: la Francia deve abbandonare l’euro e uscire dall’Unione, in nome di una recuperata sovranità nazionale (il fatto che oggi, nel mondo in cui viviamo, si tratti di una pia illusione, ai fini della demagogia nazionalista non conta). Macron è un europeista convinto, che l’Europa vuole rafforzarla riformandola (in senso che direi “renziano”).  Non è quindi strano che a Bruxelles, a Berlino e a Roma, la sua vittoria abbia suscitato sollievo. Viviamo da tempo in un mondo globalizzato in cui quanto accade nei principali Paesi tocca direttamente anche gli altri. Questo è vero specialmente per l’Europea, in cui l’interdipendenza è strettissima, ed è tanto più vero quando si tratta di uno dei pochi Paesi veramente chiave (la Gran Bretagna non lo era). È un dato di fatto che, senza la Francia, o la Germania, l’integrazione europea cessa di esistere e senza l’Italia sarebbe zoppa. Il voto del 7 maggio definirà quindi non solo il futuro dei nostri cugini di Oltralpe ma, ci piaccia o no, quello di tutti noi.

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