Cronache dai Palazzi

Adesso il voto. Dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum non sono pochi coloro che vorrebbero le urne nel più breve tempo possibile. Pd renziano, Lega, Fratelli d’Italia, M5S – con diverse motivazioni  – esprimono chiaramente la comune intenzione di “non perdere tempo”. Su un altro fronte ci sono invece minoranza Pd, Forza Italia, centristi e Sinistra italiana che auspicano un chiarimento più ampio in Parlamento a proposito di legge elettorale perché, ha dichiarato Silvio Berlusconi in un’intervista al Foglio, “non è pensabile che in una democrazia sia un organo giurisdizionale, e non un organo legislativo, a scrivere la legge elettorale”.

“Basta melina, il Pd è per il Mattarellum, i partiti dicano subito se vogliono il confronto, altrimenti la strada è il voto”, ha a sua volta ribadito Matteo Renzi, mentre i suoi più stretti collaboratori – tra cui Guerini e Rosato – chiariscono che i due sistemi di Camera e Senato hanno proporzionali “omogenei”, tanto da non ostacolare il voto. “Ora il Parlamento deve lavorare, mai più nominati”, ha dichiarato invece Roberto Speranza, esponente della minoranza dem. Contrario all’Italicum, Speranza si dimise da capogruppo al momento dell’approvazione della nuova legge elettorale.

Il leader della Lega, Matteo Salvini, dice che “non ci sono più scuse”, e auspica il voto il 23 aprile di concerto con Giorgia Meloni. Beppe Grillo, da parte sua, è sicuro di arrivare “al 40% senza alleanze” e  punta ad estendere “il Legalicum” – una proposta targata Cinque Stelle – al Senato. Per i pentastellati bastano “due settimane per farlo e andare al voto”.

In pratica la Consulta ha eliminato dall’Italicum due elementi fondamentali della riforma di voto elaborata dal governo Renzi: il ballottaggio e la possibilità dei capilista eletti in più collegi (al massimo 10) di sceglierne uno a propria discrezione. Il capolista plurieletto non potrà “scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione” ma si dovrà affidare ad un sorteggio. La libera scelta prefigurata dall’Italicum è stata giudicata incostituzionale in quanto avrebbe consento al plurieletto di decidere chi sarebbe entrato alla Camera al suo posto negli altri collegi senza, in sostanza, tener conto del voto dei cittadini. I giudici della Consulta  hanno così introdotto il criterio del sorteggio, pur invitando il Legislatore ad individuare un criterio oggettivo per la scelta. Ad esempio, il collegio nel quale ha ricevuto più voti. Permangono comunque i capilista bloccati che consentono – ancor di più senza il ballottaggio – di eleggere il 70-75% dei deputati selezionati direttamente dai segretari di partito. Ogni lista, in ogni collegio, può nominare il capolista che verrebbe eletto automaticamente se la lista guadagna un seggio in quel collegio. Altri eventuali seggi conquistati dalla lista verrebbero invece attribuiti ai candidati che hanno ricevuto più preferenze. Gli unici a poter essere eletti con la preferenza sarebbero i dem e i grillini.

Il Colle, da parte sua, chiede un accordo politico ampio. In fondo la conclusione della Consulta punta a mettere in sicurezza il sistema ma chiede al Parlamento di provvedere a fare gli opportuni aggiustamenti, ad esempio per quanto riguarda la disomogeneità dei sistemi di voto tra Camera e Senato. Una disomogeneità che si riflette sulle soglie, diverse tra Montecitorio e Palazzo Madama, sul premio di maggioranza riservato ad un solo ramo del Parlamento, sulle  coalizioni consentite in un sistema e non nell’altro.  Al Senato ci sono le coalizioni e alla Camera ci sono i singoli partiti. Con il Consultellum per ottenere seggi in Senato una lista che corre da sola deve ottenere l’8 per cento, il 20% le coalizioni e il 3% i partiti coalizzati. Lo sbarramento previsto dall’Italicum è al 3% senza coalizioni.

Il capo dello Stato ha auspicato il raggiungimento di una legge elettorale “davvero omogenea” per Camera e Senato, anche se raggiungere un accordo non sarà facile, “ma abdicare a priori e a prescindere  dalla funzione legislativa propria del Parlamento, sarebbe un clamoroso harakiri per i partiti”, assicurano dal Quirinale. Per il presidente Mattarella in gioco c’è “la Politica” con la “P” maiuscola, ed inoltre l’auto applicabilità delle sentenze della Corte costituzionale non risolve da sola la questione della disomogeneità dei due sistemi elettorali prefigurati dai giudici della Consulta. Sergio Mattarella auspica in pratica due leggi non necessariamente uguali ma almeno compatibili, e tendenti all’unità. Solo un accordo politico largo e consapevole può garantire infine la stabilità, e i correttivi necessari vanno apportati per evitare il rischio di una perpetua ingovernabilità per il Paese.

Alla fine dei giochi la Consulta ha comunque comunicato: “All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”, un passo fondamentale che esula la Corte da varie considerazioni politiche. La tendenza è di certo verso un sistema più proporzionale, anche perché non è facile che un partito da solo ottenga il 40 per cento dei voti, tanto da assicurarsi il premio di maggioranza. Secondo i sondaggi, se si votasse oggi con il nuovo Italicum, nessuna alleanza possibile avrebbe i numeri per governare. Le alleanze andrebbero quindi costruite in Aula dopo il voto, cosa non facile da realizzare.

Si prevede in pratica un’era di compromessi mista ad alleanze ed è evaporata l’idea renziana che la sera dopo il voto si dovesse conoscere il vincitore, chi governava e chi no. Ora l’essenziale è dare al Paese un sistema di voto per poter tornare alle urne, ma la nuova legge elettorale dovrebbe essere condivisa da un insieme di forze politiche più ampio di quello governativo, anche e soprattutto per evitare ricadute pericolose  o, più semplicemente, per evitare la disomogeneità di maggioranze tra Camera e Senato.

Sul fronte dei conti, rimane il monito di Bruxelles che invita il nostro Paese a dare “una risposta entro il 1° febbraio”. La Commissione europee assicura che “le richieste non sono cambiate”. In sostanza si richiede all’Italia una manovra correttiva da 0,2% del Pil. In cifre circa 3,4 miliardi. Nella lettera che Moscovici e Dombrovskis hanno inviato al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, si invita il governo Gentiloni a prefigurare, entro fine mese, un calendario di impegni chiari, sulle varie misure finalizzare alla riduzione del deficit strutturale. Qualora l’Italia non assecondasse la suddetta richiesta della Commissione, quest’ultima potrebbe avviare una procedura per violazione della regola del debito, che costringerebbe l’Italia a manovre annuali di almeno lo 0,5% di Pil (circa 8 miliardi) per poter ridurre il deficit strutturale.

In sostanza i ministri delle Finanze dell’Unione europea temono un eventuale perdita del controllo sul debito da parte del nostro Paese, che potrebbe quindi rischiare una crisi perenne. Come si legge nella bozza di conclusioni dell’Ecofin “la sfida in termini di sostenibilità di bilancio rimane in un certo numero di Paesi in cui il debito pubblico è alto, cosa che potrebbe essere fonte di vulnerabilità in caso di choc”. In pratica i ministri Ue, pur non contrastando gli investimenti per rilanciare la crescita si opporrebbero ad una politica di bilancio eccessivamente espansiva per la zona euro nella sua interezza. Per l’Ecofin è fondamentale “continuare ad attuare riforme strutturali per aumentare il potenziale di crescita” ma, nel contempo, è necessario mettere a punto politiche di bilancio “che sostengano la crescita assicurando la sostenibilità di lungo periodo del debito”. Tutto nel rispetto delle regole previste con il Patto di Stabilità e Crescita.

Nel mirino soprattutto le cosiddette “spese eccezionali”, legate ad eventi insoliti fuori dal controllo del governo, non solo le spese destinate a emergenza e ricostruzione post terremoto ma anche la messa in sicurezza del Paese con il piano Casa Italia. Per quanto riguarda i terremoti, in particolare, il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici, pur ribadendo che “la Commissione è sempre al fianco dell’Italia quando c’è un terremoto”, ha puntualizzato che le spese una-tantum per l’emergenza devono essere scisse da quelle strutturali “necessarie per migliorare la prevenzione e il consolidamento in modo da limitare i danni dei terremoti che colpiscono spesso l’Italia”. Per quanto riguarda le spese strutturali, quindi, Moscovici ha sottolineato: “Siamo pronti ad esaminarle ma separatamente a questo negoziato” sulla manovra 2017. L’Ue pone in pratica un limite all’allargarsi delle maglie della flessibilità, e rimarca che nel 2017 l’Italia ha beneficiato di uno sconto aggiuntivo dello 0,3% di Pil, circa 5 miliardi di euro.

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