La mossa di Grillo

 

La decisione di Grillo di far passare i deputati di 5 Stelle a Strasburgo dal gruppo di estrema destra dominato dai seguaci inglesi di Nigel Farage a quello liberale guidato dall’ex Premier belga Verhofstadt, mi  era parsa una mossa di notevole importanza e, diciamolo pure, intelligenza politica. Con essa, Grillo prendeva le distanze dalla destra nazionalista e neo-fascista e si situava in un’area non più ciecamente anti Europa e anti euro, ma in una zona riformista largamente accettabile.

Certo, c’erano  anche ragioni tecniche: l’UKIP inglese ha esaurito il suo compito di far uscire la Gran Bretagna e, nei due anni di mandato che ancora restano ai suoi deputati, non avrà più interesse ad alcuna battaglia antieuropea e meno che mai a un’azione riformista, ma si concentrerà sulle condizioni da assicurare alla Gran Bretagna alla sua uscita. Grillo lo aveva largamente spiegato, chiarendo inoltre che formare un proprio gruppo indipendente per i 5 Stelle non avrebbe avuto  senso, in quanto sarebbero stati  tagliati di fatto fuori da ogni incarico a Strasburgo e anche dalla possibilità di influire sull’agenda dell’Europarlamento.

Ma mi sembra legittimo pensare che al fondo vi fossero ragioni più politiche: Grillo deve essersi reso conto che, fatto il pieno dei propri voti protestatari, resterà comunque per lui difficile arrivare al governo, se non conquista, rassicurandola, un’area che non si riconosce né nella sinistra né nella destra estrema di Salvini e Meloni, non ha ancora un approdo sicuro nel centro-destra, e resta razionalmente attaccata ad un’Europa e ad una moneta unica, di cui vede gli evidenti difetti e ne esige la correzione, rendendosi conto peraltro che distruggere tutto quello che si è fatto finora in tema di integrazione sarebbe un suicidio per il Continente e per l’Italia in particolare? O magari (ma forse qui eccedo nell’attribuire al comico genovese un certo buon senso) ha capito che l’avvento di Trump alla Casa Bianca apre scenari del tutto inediti e impone un’Europa più unita e più forte, se non vogliamo finire come il proverbiale vaso di coccio, o iniziare una vergognosa corsa sotto le ali di Putin (che piace tanto a Salvini, ma dubito piaccia altrettanto alla Ditta Grillo-Casaleggio).

Il tenore del preaccordo firmato il 4 gennaio tra i Grillini e i Liberali andava in questa direzione e mi era parso rassicurante, una vera e propria svolta. Del resto, Di Maio, ormai alternativo al Capo, si era di fatto subito distanziato da una scelta che apparisse politica, definendola puramente tecnica, ribadendo la sua contrarietà agli Stati Uniti d’Europa (bella forza! Io vorrei sapere chi li vuole veramente) e la richiesta di un referendum sull’euro.

Il secco rifiuto dell’ALDE è venuto dopo quello che doveva essere l’incontro definitore tra Grillo e Verhofstadt. Segno che, al di là delle formule, l’incompatibilità di fondo del Movimento e del suo leader cogli ideali e i programmi dei liberali europei è grave e insanabile. Così facendo, i liberali si sono mostrati fedeli a sé stessi, anche a costo di rinunciare a una manciata di deputati in più che avrebbero ingrossato il loro gruppo nel PE. Grillo, per il momento, ha fatto una figuraccia e come era naturale ha reagito con la consueta becera rabbia. A quali sviluppi porterà tutto questo, resta tutto da vedere.

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