Islanda, il disappunto dei Pirati

Il Primo Ministro islandese Sigurdur Johannsson, il cui Partito del Progresso (centrodestra) ha realizzato il suo peggior risultato in cento anni di vita politica, si è dimesso. Ma non è il solo ad essere rimasto con un retrogusto amaro in bocca.

All’indomani delle ultime elezioni politiche che si sono tenute in anticipo sui tempi costituzionali lo scorso 30 Ottobre, e che non hanno disegnato alcuna maggioranza, malgrado l’importante crescita del Partito contestatore dei Pirati, l’Islanda è entrata in una fase di intensi patteggiamenti politici. Il Primo Ministro Sigurdur Johannsson ha presentato le sue dimissioni al Presidente della Repubblica Gudni Johannesson già nel pomeriggio di lunedì scorso. Conformemente alla Costituzione, lui e il suo gabinetto porteranno avanti l’ordinaria amministrazione fino alla nomina di un nuovo Governo.  All’uscita dal palazzo presidenziale, il Primo Ministro ha detto davanti ai giornalisti che riuscire a formare una coalizione di maggioranza “sarà un compito molto difficile” vista la frammentarietà della rappresentazione parlamentare che conta oggi sette Partiti.

Il Presidente ha ricevuto a turno tutti i capi dei Partiti. La tradizione vuole che affidi al capofila del Partito arrivato in testa l’incarico di cercare i partner per la coalizione. In questo caso, il presidente del Partito per l’Indipendenza (conservatori), Bjarni Benediktsson, Ministro delle Finanze del Governo uscente. Bjarni Benediktsson  è anche tra i 600 islandesi il cui nome appare nelle liste dei Panama Papers, quei documenti che hanno reso  pubblici lo scorso Aprile migliaia di nomi titolari di conti off shore. Il Primo Ministro Sigmundur David Gunnlaugsson (Partito del Progresso), aveva dato le dimissioni già in Aprile, subito dopo il suo coinvolgimento nello scandalo. Il Governo era rimasto in piedi grazie alla promessa di indire le elezioni sei mesi prima la fine del mandato naturale fissato per la primavera del 2017.

Piccola isola dell’Atlantico del Nord, sopravvissuta alla crisi del 2008 grazie al suo turismo, l’Islanda appare divisa tra una parte di popolazione preoccupata soprattutto per la stabilità e l’indipendenza del Paese, e una che aspira a voltare pagina, allontanando l’immagine della crisi finanziaria e degli “affari”. Insieme eteroclita di hacker, militanti ecologisti e libertari creato nel 2012, il Partito Pirata, che promuove maggiore democrazia diretta e trasparenza nella vita politica, rappresentava per molti questa speranza di rinnovamento. Ma se nelle intenzioni di voto apparse nei sondaggi avevano raggiunto il 40% delle preferenze, il risultato delle urne si è rivelato essere un successo a metà per i “Piratar”, che avevano giurato di “scrivere la Storia”.Con nove eletti nell’Atlhingi, il Parlamento monocamerale, triplicano il risultato del 2013 diventando la seconda formazione politica del Paese, a pari merito con il movimento Sinistra-Verdi. Ma il Partito non fa man bassa dei voti e rischia di rimanere ai margini del potere. “Quello che si poteva supporre è diventato realtà: i giovani elettori non si sono mossi”, sottolinea il politologo Gretar Eytorsson, quando  erano proprio loro il cuore della campagna dei Pirati, quelli sui quali contava maggiormente il Partito.

Ovviamente Birgitta Jonsdottir, la capitana dei Pirati, ha detto essere “felice” per il risultato ottenuto dal Partito. I Pirati, “Robin-Hood del potere”, “sono aperti al compromesso” per entrare a far parte di un esecutivo arcobaleno, ha puntualizzato la Jonsdottir durante una conferenza stampa. “Le  combinazioni per formare una  coalizione sono numerose. C’è molto lavoro da fare”, ha twittato da parte sua Smari McCarthy, la mente dei Pirati. Da notare che contrariamente a numerosi Paesi europei, l’Islanda non registra spinte radicali a destra. La coalizione uscente di centrodestra invece, perde da parte sua la maggioranza assoluta ottenuta nel 2013, per via del crollo del Partito del Progresso, minato dai conflitti interni. Durante una apparizione in televisione avvenuta subito dopo le elezioni, il Primo Ministro ha difeso il bilancio della sua maggioranza affermando che essa aveva contribuito a “ridurre l’indebitamento delle famiglie” dopo la crisi finanziaria del 2008 e aveva allontanato i creditori delle banche islandesi fallite. Il suo partner di Governo, il Partito dell’Indipendenza, ha colto i frutti della crisi del primo partito d’Islanda, prendendone il posto, nonostante due dei suoi ministri fossero coinvolti nello scandalo dei Panama Papers. I suoi elettori storici – investitori, pescatori in proprio, anziani ed euroscettici –  temevano soprattutto di vedere i Pirati issare il loro vessillo sul tetto del Parlamento.

I Pirati non hanno mai smesso di denunciare gli “affari” dei Partiti di centrodestra che governano quasi ininterrottamente dal 1944, e hanno chiuso la porta ad una coalizione diretta dal Partito dell’Indipendenza. “Il Partito dell’Indipendenza è stato ricompensato per la sua partecipazione alla corruzione”, ha ironizzato Smari McCarthy. Questa vittoria e mezze tinte non è andata giù del tutto.

©Futuro Europa®

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