GB, Corbyn e la vittoria degli “indignati”

Jeremy Corbyn, il controverso leader del Partito Laburista britannico, è stato rieletto a capo di un Labour più diviso che mai. In molti si chiedono se questa sia una benedizione per i conservatori.

Sicuramente non stupisce l’atteggiamento di Corbyn dopo l’annuncio della sua vittoria: nessun trionfalismo. Il voto dei militanti, in maggioranza suoi simpatizzanti, era talmente scontato che nessun rappresentante del Partito laburista aveva voluto rischiare nello sfidarlo. Se non il quasi sconosciuto deputato gallese Owen Smith, che ha osato portare avanti una sfida senza suspense. L’austero sessantenne,  eletto a capo del Labour esattamente un anno fa, ha ottenuto ciò che voleva: un mandato chiaro con la speranza di mettere fine alla guerra che i “signori” del Partito gli fanno da tempo. Non solo Corbyn è stato rieletto, ma, con quasi il 62% delle preferenze, è stato riconfermato con una base più solida. Essendo le prossime elezioni politiche previste per il 2020, ha tutto il tempo per dimostrare la sua validità, e non è cosa da poco.

Innanzitutto dovrà riunificare la formazione centenaria che i più pessimisti giudicano sull’orlo dell’autodistruzione. Una vera guerra di trincea che oppone, da una parte, la maggioranza parlamentare di orientamento socialdemocratico e, dall’altra, la nuova direzione presa dalla base di “indignati” vicina a Syriza e Podemos, e della quale Corbyn stesso è l’incarnazione. “Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide”, ha ricordato lo scorso sabato 24 Settembre davanti ai partecipanti del Congresso annuale di Liverpool. Ideologicamente, questo rimane da dimostrare visto quanto le sue arringhe in favore delle nazionalizzazioni, dell’aumento massiccio della spesa pubblica e dell’abbandono del nucleare disturbano i modernisti. In termini di numeri parlamentari però è una certezza. Il sistema britannico è fatto in modo tale che non esiste possibilità di sopravvivenza fuori dai due grandi Partiti, conservatori e laburisti,  che si succedono al potere da decenni. E’ soprattutto per questo motivo che gli eredi di Tony Blair rinunceranno sicuramente a sbattere la porta in faccia al loro controverso leader e volare con le proprie ali.

L’altra grande sfida che aspetta Jeremy Corbyn è sé stesso. Da quando è diventato protagonista della scena politica, i sondaggi lo ripetono all’infinito: eccezion fatta di quella sinistra della sinistra che lo ha portato a capo del Labour, nessuno vede in lui un potenziale Primo Ministro. L’uomo Corbyn è reputato essere tutto d’un pezzo, dotato di convinzioni ben radicate e di una flemma che è stata messa a dura prova nel corso degli ultimi mesi, ma il suo dogmatismo spaventa e la sua totale mancanza di carisma gli nuoce non poco. Se Corbyn è stato brillantemente rieletto a capo del Partito Laburista, una delle priorità ora è chiarire rapidamente e definitivamente la sua posizione in merito alla Brexit che gli è valsa un accusa di corresponsabilità per la Brexit. Non può più ignorare il fatto che il voto in favore dell’uscita del regno Unito dall’Unione Europea  sia stato importante nelle circoscrizioni che avevano eletto un deputato laburista. E pensare che la maggioranza dei parlamentari si era pronunciata contro la Brexit, e Corbyn stesso, anche se molto flemmaticamente, aveva scelto il campo di coloro che volevano rimanere in seno all’UE.

Questo atteggiamento mostra la contraddizione  che esiste tra l’idea difesa dai quadri del Partito e i risentimenti dei militanti o dei simpatizzanti della base. Contraddizione così forte che si poteva pensare che l’assassinio della  deputata laburista, Jo Cox, avvenuto una settimana prima del referendum, avrebbe provocato un movimento di simpatizzanti per il “remain”. Ma see questo sentimento c’è stato, non è bastato per invertire la tendenza, perché gli elettori laburisti avevano intuito che nessuna rottura con il neo liberismo sarebbe stata possibile fintanto che il Regno Unito fosse rimasto legato all’Unione Europea. In effetti, la sinistra, la vera sinistra, è separatista per natura. Ma ora Corbyn deve trovare gli obbiettivi che gli permetteranno di affermare une vera politica di sinistra nel contesto della Brexit. Ed è qui che entra in gioco, pericolosamente, la svolta operata da Theresa May, Primo Ministro in carica dopo le dimissioni di Cameron avvenute quattro mesi fa. Occupando in campo economico e sociale le posizioni che avrebbero dovuto adottare i laburisti, e facendolo con la legittimità che gli da la Brexit, Theresa May potrebbe occupare tutta la scena politica. I conservatori al potere da sei anni, invece di vedere logorata fisiologicamente la loro forza, continuano a volteggiare in testa ai sondaggi con ben nove punti di distacco sui laburisti. Questo non è sfuggito alla May: sono sempre più coloro che avanzano l’ipotesi che abbia l’intenzione di organizzare elezioni anticipate già il prossimo anno per cavalcare l’onda ancora favorevole. Se Corbyn non agisce rapidamente e costruttivamente, il futuro elettorale del Partito Laburista, intrappolato tra la svolta politica intrapresa dai conservatori e i successi di UKIP, è ipotecato.

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