Hanno cambiato faccia (Film, 1971)

A pochi giorni di distanza dalla scomparsa di Corrado Farina (1939-2016), Rai Movies ha messo in programmazione il suo primo film, il più metaforico e fantastico, ma anche intriso di significati sociopolitici. Hanno cambiato faccia è interpretato da Adolfo Celi, Geraldine Hooper, Giuliano Disperati e Francesca Modigliani. Corrado Farina scrive il soggetto e lo sceneggia con la collaborazione di Giulio Berruti (che provvede al montaggio e opera come aiuto regista). La fotografia è di Aiace Parolini e le musiche sono di Amedeo Tommasi.

Giovani Nosferatu (Celi) è un capitalista proprietario di una serie di fabbriche nei settori più disparati e Alberto Valle (Disperati) lavora alla sue dipendenze. Un giorno l’impiegato viene chiamato nelle stanze del potere per assumere un inatteso ruolo dirigenziale. Giovanni Nosferatu in persona invita Alberto nella sua villa di montagna. Il regista la disegna come una residenza moderna inserita in un antico parco, un luogo fuori dal tempo. Alberto incontra Laura, una giovane figlia dei fiori che passeggia a seno nudo senza una meta, non ha progetti per il futuro, ma vuole soltanto essere libera. L’arrivo di Alberto nelle montagne dove vive Nosferatu ricorda molti film su Dracula e certi lavori del gotico italiano, sia per il luogo spettrale e deserto che per gli abitanti silenziosi, non propensi a fornire indicazioni. La villa è immersa nella nebbia, fa freddo, gli uccellini non cantano e il parco è sorvegliato da Fiat 500 che svolgono la funzione di cani da guardia. Amedeo Tommasi realizza un commento musicale suggestivo, da horror inquietante ma appena suggerito, sottolineando l’ingresso in villa da parte dell’ingegnere e le apparizioni di Nosferatu. La pellicola prosegue su ritmi lenti ma non annoia, grazie soprattutto a una ripetuta critica al mondo della pubblicità e al consumismo. Alberto siede su un divano e subito sentiamo uno slogan pubblicitario, fa la doccia e accade la stessa cosa, durante la notte ode litanie pubblicitarie a ritmo di funzione religiosa che invitano a creare bisogni e a far consumare.

Nosferatu è un vero e proprio vampiro, che se ne sta chiuso di giorno nel suo ufficio e compare solo di notte, ma è un vampiro dei tempi moderni, più subdolo e imbattibile. Farina anticipa di quasi vent’anni un discorso che Federico Fellini approfondirà negli ultimi film e soprattutto ne La voce della luna (1990). I bersagli dei due registi sono la pubblicità, il consumismo e il capitalismo perverso, incarnati nel 1971 da Giovanni Agnelli (ma era un capitalismo dal volto umano) e nel 1990 da Silvio Berlusconi. Il film di Farina è quasi profetico, riesce a dire in anticipo cosa accadrà, partendo da spunti biografici, perché il regista si è occupato molto di pubblicità. Nosferatu serve una cena fantascientifica composta di prodotti chimici, ironizza sul socialismo gastronomico che elimina il piacere fine a se stesso – un inutile spreco produttivo – per ridurre tutto a un discorso economico. “I miti non muoiono, si trasformano. Dobbiamo cambiare la schiavitù in libertà, e oggi la pietra filosofale è la tecnologia. Servono uomini che sappiano comandare e consigliare i veri bisogni per poi riuscire a soddisfarli”, afferma Nosferatu. La critica di Farina al sistema capitalistico è evidente. L’imprenditore è padrone di tutto: stampa, polizia, aziende, persone, governa desideri e realizza bisogni. La realtà è dietro l’angolo. Una sequenza fantastica mostra una serie di bambini in culla, un enorme registro dove si legge il nome di Alberto e una sua foto da bambino con la previsione che avrebbe fatto il dirigente. Nosferatu alleva i figli prediletti perché nel futuro ricoprano un ruolo alle sue dipendenze.

“Ho visto delle cose mostruose”, dice Alberto sconvolto alla segretaria Corinne, che ha il compito di rendere piacevole il suo soggiorno. Nel frattempo Nosferatu cattura Laura, che attendeva in auto il rientro di Alberto. La vampirizza e forse è questa la sola scena horror esplicita del film, pure se i leggendari denti aguzzi del vampiro non si vedono, ma sono cambiati i tempi e loro hanno cambiato faccia. La critica alla pubblicità è sempre più ironica e divertente: Alberto e Corinna fanno l’amore e in sottofondo si sente una promozione dei profilattici Nosferatù. Farina cita il gotico riprendendo l’esplorazione di Alberto in un vecchio cimitero di famiglia e mentre si reca alla scoperta di una cripta. Alberto cerca la sua Laura in paese, ma nessuno parla, una vecchia si fa il segno della croce, un prete lo scaccia di chiesa. “Non abbiamo niente a che vedere con quelli della villa”, dice. Il padrone è un vampiro, un essere che non ha niente di umano, un uomo senza età. La seduta del consiglio di amministrazione è un capolavoro di sottile ironia, perché al tavolo di Nosferatu siede ogni tipo di potere, persino quello ecclesiastico. Il capitale difende sé stesso, punta alla proliferazione ed elimina chi commette errori. Farina cita Godard, Fellini (I clown) e De Sade per costruire uno spot pubblicitario che renda libera la vendita della droga LSD nei supermercati Nosferatu. Alberto capisce tutto e vorrebbe andarsene per non stare al gioco, ha compreso che il padrone ha paura del tempo, oppure solo dell’alba come i vampiri, adesso sa che i vampiri hanno cambiato faccia ma continuano a succhiare il sangue alle persone. In ogni caso non può accusare Nosferatu: è il potere assoluto, giornali e polizia gli appartengono. L’unica cosa da fare è ucciderlo. Alberto spara tre colpi di pistola a Nosferatu e abbandona la villa insieme a Corinna, passando tra Fiat 500 con i fari accesi. Nella sua auto trova Laura ad attenderlo, ma non è più la stessa. Veste elegante e parla del futuro, di un lavoro importante all’interno di un’azienda. “Ma tu non volevi soltanto essere libera?” chiede Alberto. “Ero sciocca. Avevi ragione tu”, risponde la ragazza. Nosferatu l’ha vampirizzata, rendendola schiava di desideri e bisogni. Non c’è speranza perché il capitale normalizza tutti, persino i giovani figli dei fiori. La segretaria riapre il cancello e Alberto rientra nella villa dove Nosferatu – vivo e vegeto – lo attende per affidargli il compito previsto da dirigente.

Il messaggio è molto pessimistico: il capitalismo rigenera sé stesso e ha sempre la meglio, le rivoluzioni sono impossibili, nessuno può ribellarsi al volere del capitale, perché prima o poi verrà catturato. “Il terrore di oggi si chiama tecnologia”, è la frase che campeggia prima dei titoli di coda, citando L’uomo a una dimensione di Marcuse. Farina più che un film horror vuole realizzare un film fantastico che sia una sorta di apologo politico. La figura del vampiro è un preciso riferimento al potere e al capitalista che succhia la libertà al proletariato. Il protagonista è un impiegato con crisi di coscienza, ma che alla fine si dichiara pronto a rinunciare alla sua personalità per un incarico importante. I suoi problemi di coscienza che derivano dal mondo di provenienza e dalla ragazza che pensa di amare verranno superati. Alberto e Laura finiranno integrati dopo una drammatica scelta di campo a favore del potere. Il regista vuole trasmettere il messaggio che è il destino di tutti. La pellicola è ambientata per lunghe sequenze nella villa dell’ingegner Nosferatu ed è girata prevalentemente in interni ricercati e modernisti. Ottimi anche gli esterni autunnali che consentono soluzioni visive innovative e originali. Ricordiamo numerose scene con le Fiat 500 schierate nel parco dell’ingegner Nosferatu in funzione di cani da guardia. Molto bravo Adolfo Celi come vampiro capitalista, ma non è da meno Geraldine Hooper come ambigua segretaria.

Il film vince il Pardo d’oro a Locarno come migliore opera prima, nonostante sia stato girato in economia e presenti i difetti consueti di un lavoro d’esordio. Il punto debole è la sua ambizione: non vuole essere un semplice film fantastico bensì una storia capace di fare un discorso sociopolitico. In questi casi si rischia di cadere nella retorica, ma Farina si salva con una direzione attenta e piena di inventiva. Il film è disponibile dal 2009 in dvd, con alcuni extra praticamente inediti: due cortometraggi amatoriali a 8mm, Il figlio di Dracula e Giro Giro Tondo e i due primi documentari a 35mm: Laudato sii, mio Signore e I tarli. Il primo titolo è un approccio umoristico al tema del vampiro, gli altri tre saldano la fase amatoriale con quella professionale e in qualche modo introducono il tema principale del lungometraggio.

©Futuro Europa®

 [NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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