Italia da riconvertire, modello Ruhr

Dopo gli sversamenti di idrocarburi a Genova, l’ineffabile Grillo, intervistato a Roma, ha detto: “Metteranno l’Ambiente contro il Lavoro e il Lavoro contro l’Ambiente, ma cosa faranno cinquecento famiglie se chiudiamo la Iplom? Bisogna fare un piano che preveda una riconversione, come hanno fatto nella Ruhr”.

Nella Regione tedesca della Ruhr, dopo la crisi della metallurgia, la Germania ha realizzato il più esteso piano di riconversione urbanistica europeo: un’area immensa, che ha costituito per più di un secolo  il ‘motore’ della crescita impetuosa della Germania, un’intera conurbazione, formata dalle città di Essen, Duisburg, Dortmund e Oberhausen, una miriade di impianti e strutture che stentavano a produrre, sono state messe in discussione dai ‘decisori’ economici e politici, e alla fine trasformate senza indugio. Così: la più importante miniera di carbone d’Europa, la Zollverein di Essen, è stata trasformata in un centro multifunzionale; la ex ferriera Meiderich è diventata il Landschaftspark, con un’area espositiva, teatri, ristoranti, aree commerciali, una piscina e una palestra di roccia; il gasometro di Oberhausen è stato trasformato in un monumentale centro espositivo. E poi il maggiore acquario tedesco, un luna park, un’arena e centri commerciali. Poi viali con ristoranti e discoteche. Per citare solo alcuni esempi. Una trasformazione straordinaria, che ha richiesto una ‘visione’: che però ha trovato ascolto in decisioni politiche intelligenti e attente al ritorno economico di un progetto concepito per continuare a produrre ricavi anche nel futuro. E redditi, redditi, redditi per migliaia di lavoratori che l’industria tradizionale avrebbe mandato a casa.

Riconversione Ruhr - Germania

Ruhr – Germania

Qui da noi, sebbene esista un ben diverso ‘ambiente’ economico e politico, quella della riconversione delle aree industriali obsolete è, nonostante tutto, un’idea diffusa e condivisa, e non certo una trovata del comico Grillo. Qui da noi, la riconversione è oggetto di studi, relazioni, convegni, articoli, conferenze stampa, seminari, disegni di legge e post su Facebook. Insomma, se ne parla: se ne parla assai, come per Porto Marghera-Mestre, polo ‘simbolico’ del boom del secolo scorso, grazie alla visibilità internazionale di Venezia. E se ne parla, naturalmente, quando nelle cronache entrano aree come l’Ilva di Taranto. Il problema è che se ne parla, ma, come sempre, non se ne fa niente. Insomma, vista dall’Italietta immiserita dai micro interessi e dagli affarucci di bottega, che restano tali anche quando arrivano nelle più alte stanze del potere, la riconversione delle nostre aree industriali sul modello di quella della Ruhr sembra lontana anni luce. Perché?

Perché da noi i ‘decisori’ non hanno il livello culturale di quelli europei e non hanno capacità né intenzione di accettare che il mondo è cambiato. Per loro il modello industriale del Novecento, tutto ghisa e petrolio, è ancora valido. Per i decisori italioti, le idee di migliaia di ricercatori e cittadini, imprenditori illuminati e associazioni ambientaliste, sono buone solo per i convegni, utili come foglie di fico per le loro impresentabili idee di sviluppo, e come sfogatoio di scomode pulsioni ideali. Per questo considerano normale riempire di trivelle il mare e le campagne del Bel Paese, e fare della verde Basilicata, dove c’è Matera Capitale europea della Cultura, una pasticciata caricatura delle aree industriali altrove dismesse.

Osservato, dal mondo, dentro al Paese-simbolo mondiale di Cultura e Bellezza, contemplato con stupore dagli Italiani, dagli imbestialiti come dai rassegnati, il livello culturale di queste prese di posizione, e la prosopopea con la quale vengono sostenute, sono, questi sì, comici: di una comicità che neanche Grillo potrà mai eguagliare. Non potendo comprendere il declino del modello industriale tradizionale, e incapaci di vedere quello che hanno davanti agli occhi, ovvero il ‘petrolio’ italiano in termini di arte, paesaggio, cultura e turismo, decisori come questi non possono comprendere neanche il concetto di ‘riconversione’, che qui sarebbe cento volte più efficace che in Germania. Preferiscono la botteguccia, finché campa, e chissenefrega dell’Italia e degli Italiani. Da noi, la prima riconversione da fare è questa qui.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

Print Friendly, PDF & Email
Condividi

Sii il primo a commentare su "Italia da riconvertire, modello Ruhr"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato


*