La Corte dei Conti boccia la spending review

“La spending review è un insuccesso”. Neanche per sogno: “Tagliati 25 miliardi”. La Corte dei Conti dice una cosa, il governo praticamente l’opposto. E noi non faremo l’errore di infilarci in una lista infinita di numeri, con il risultato di non capirci nulla. Qualche giorno fa il presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016 ha definito il taglio della spesa del governo Renzi un “parziale insuccesso”, con ricadute negative per i servizi ai cittadini. Il Tesoro ha risposto immediatamente per le rime, sottolineando che tra il 2014 e il 2015 si sono risparmiati 18 miliardi.

A smenarsi sono, sempre e comunque, i cittadini. Il taglio della spesa “non è più solo riconducibile a effettivi interventi di razionalizzazione e di efficientamento di strutture e servizi, quanto piuttosto a operazioni assai meno mirate di contrazione, se non di soppressione, di prestazioni rese alla collettività”, ha spiegato Raffaele Squitieri. In buona sostanza la spending review si è rivelata un taglio più che alla spese, piuttosto ai servizi. Nel suo intervento Squitieri ha ricordato che i margini di flessibilità acquisiti in sede europea sono stati “interamente utilizzati nella manovra di finanza pubblica per il 2016”.

Per il governo, invece, i risparmi si attestano a circa 25 miliardi di euro nell’anno in corso. Lo si legge sul sito del Ministero dell’Economia, che ha pubblicato un resoconto sulla spending review proprio dopo le critiche sollevate dalla Corte dei Conti. “Questi risparmi hanno consentito di finanziare alcune delle misure a sostegno della crescita e dell’occupazione”, si legge nella nota in cui si precisa che “lo spirito della spending review consiste in interventi di razionalizzazione connessi a cambiamenti dei meccanismi di spesa e degli assetti organizzativi delle amministrazioni: non sono semplicemente tagli. Si tratta spesso della revisione di processi complessi e consolidati”.

I conti, ad ogni modo, non tornano. O meglio, per arrivare alla cifra di 25 miliardi, bisognerebbe sommare più interventi che in questi anni il governo ha deciso a più riprese. Il primo provvedimento è un decreto sull’emersione dei capitali detenuti all’estero, varato a gennaio 2014, dall’allora governo Letta. Poi c’è il decreto dei famosi 80 euro, nel quale erano previsti anche tagli ai ministeri, razionalizzazione degli immobili della pubblica amministrazione e un tetto di 240mila euro agli stipendi dei manager pubblici, il decreto Madia con le prime misure di riforma della pubblica amministrazione e, infine, le manovre finanziarie 2015 e 2016.

“E’ fondamentale fornire impulso alla crescita e all’occupazione, in una fase così delicata”, è la convinzione della Corte dei Conti, che invita le istituzioni ad intraprendere un’azione “indirizzata a volgere in positivo le aspettative degli operatori, rinsaldando la fiducia nello Stato e la credibilità del Paese”. Per il Tesoro i fondi risparmiati sono impiegati in attività utili al rilancio dell’economia: “Il risultato della revisione può essere un risparmio netto o la liberazione di risorse da reimpiegare nella strategia del governo”. L’auspicio resta sempre lo stesso: più spending e meno tasse. Più che un auspicio, per ora, resta un’utopia.

©Futuro Europa®

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