Italia-UE-NATO, auguri a Calenda e a Bisognero

I “battibecchi inutili” tra Roma e Bruxelles sembrano essersi calmati, ma i problemi di fondo restano: che Europa vogliamo? Come vogliamo starci dentro? L’Europa non è soltanto una necessità, è anche una fede, un’ideale. Un ideale evolutivo, anche se per ora ho poche speranze sul suo destino federativo. Ma come accade alle creazioni umane, ha finito col trasformarsi in un organismo autoreferenziale, attento più alla lettere dei regolamenti che allo spirito che li ispira. Salvo Mario Draghi, pochi a Bruxelles e dintorni mostrano di averlo capito. E questo è un errore che può essere fatale. L’integrazione europea non è qualcosa di naturale, di iscritto nei geni dei nostri popoli, come lo è il nazionalismo. Richiede una mistura di impulsi ideali e di vantaggi concreti.

L’Europa fa benissimo a vigilare sulla serietà dei conti pubblici (è il suo dovere). Fa malissmo a non capire che accanto a questo occorre un grande impulso creativo per lo sviluppo economico solidale. Se l’Europa non dimostra di essere un motore di progresso economico e sociale, se non affronta in modo efficiente e solidale le sue emergenze, come quella dell’immigrazione e della sicurezza delle frontiere, se non riesce a parlare sia alle tasche sia al cuore degli europei, è destinata a smarrirsi nel grigiore e nell’irrilevanza. I Governi, come quello italiano, che operano in questa direzione, hanno dunque ragione. E Juncker, se non rispettasse le attese che egli stesso ha sollevate dopo la sua elezione, tradirebbe il proprio mandato. Va bene dunque muoversi a tutto campo per un “cambio di passo”. Ma una dispettosa arroganza non è il cammino giusto. Lo seguì a suo tempo la signora Thatcher, e riuscì a isolare l’Inghilterra. Va bene esigere che l’Italia sia trattata con il rispetto che le è dovuto, ma il rispetto si conquista nel tempo con una politica ferma, ragionevole e coerente, impostando con le Autorità di Bruxelles e con i maggiori partner una linea di giusta fermezza, sempre però avendo in mente che, alla fine, il bene comune supera e comprende quello di tutti, compreso il nostro.

Con la nomina di un politico, Carlo Calenda, a nostro Rappresentante Permanente all’UE, Renzi ha voluto chiaramente dare il segno di un cambiamento di registro nei nostri rapporti con Bruxelles. Non voglio giudicare la sua scelta con i sentimenti corporativi di un diplomatico. Il Governo ha il diritto di selezionare per i posti chiave le persone più adatte in un momento dato, e la legge gli consente di cercare anche al di fuori della Carriera. In principio, ritengo che la Farnesina offra talenti più che sufficienti a coprire quei posti e che il lavoro diplomatico è svolto in generale meglio da professionisti che da estranei (anche se questa è pratica comune per tanti Paesi anche perfettamente democratici). Scegliere Ambasciatori fuori della  Farnesina non può che mortificare i talenti che in quel Ministero abbondano e privare lo Stato di servitori sperimentati e deve dunque rimanere un’eccezione. Ma riconosco che il posto di Bruxelles, per la complessità dei suoi compiti e per il momento speciale che viviamo, può essere questa eccezione, se si ritiene conveniente disporre di una persona con preparazione e mentalità politiche e il filo diretto con Palazzo Chigi. Resta da vedere come funzionerà questa esperienza.

Personalmente auguro a Calenda pieno successo. Un punto però voglio sottolineare. Nessuna politica europea può funzionare se non è coordinata e guidata da un centro unico e forte, che contempli i tanti aspetti in cui il rapporto con Bruxelles si articola. Questo punto forte non può essere il Ministero degli Esteri, nonostante la sua competenza resti primaria. Può esserlo solo la Presidenza del Consiglio. Ed è tempo che il Premier torni a dotarsi, come avveniva in altri Governi del  passato, di un Ministro per il coordinamento delle politiche europee capace, autorevole e di sua piena fiducia.

Nella stesso Consiglio dei Ministri che ha scelto Calenda per l’UE, c’è stata la nomina – questa  indiscutibile – di Claudio Bisognero, attualmente Ambasciatore a Washington, a Rappresentante presso la NATO. Claudio è uno dei diplomatici migliori di cui disponga il Paese. È stato Segretario Generale Aggiunto della NATO, che quindi conosce “inside out”. Viene dalla sede più importante e prestigiosa della nostra diplomazia. Interpreto la sua scelta come un segno dell’importanza che il Governo accorda, con tutte le ragioni, alla nostra presenza nella NATO e all’Alleanza nel suo insieme.

Ogni tanto anche persone di grande lucidità, come Sergio Romano, tornano a dichiarare la NATO superata (dando esplicitamente ragione a Putin). In realtà, è un dibattito del tutto astratto, giacché per fortuna nessun Paese membro pensa seriamente di fare a meno dell’Alleanza. Questa resta pienamente attuale come garanzia della nostra sicurezza,  grazie al formidabile potere militare degli Stati Uniti che essa mette a nostra disposizione. Chi ha il coraggio di sostenere che viviamo oggi in un mondo sicuro? URSS e Patto di Varsavia sono scomparsi, ma davvero pensiamo che la Russia sia diventata una democrazia pacifica, affidabile, omologabile a quelle occidentali? Davvero pensiamo che l’Ucraina, i Paesi baltici, la Romania, la Polonia, l’Ungheria, si sentirebbero sicuri  senza la NATO? Si vada a chiedere loro cosa ne pensano (ho citato in un’altra occasione quello che ascoltai anni fa a questo proposito dalle labbra di Lech Walesa e fu davvero molto istruttivo). E davvero pensiamo che il Mediterraneo sarebbe per noi un luogo più sicuro senza lo straordinario spiegamento delle capacità NATO e americane? Talvolta  si sostiene una contrapposizione tra NATO ed Europa, quasi che se l’Europa non esiste come potenza politico-militare è colpa della NATO. Abbiamo l’onestà di riconoscerlo: l’Europa non si è data finora  una politica estera e di difesa comune perché non ha saputo e voluto e tuttora non sa e non vuole. E se lo volesse, dove troverebbe in concreto le risorse  per rimpiazzare in poco tempo, senza sconvolgere le proprie finanze e lo stato del benessere,  le immense risorse militari che gli Stati Uniti mettono a sua disposizione?

Quando andai alla NATO come Rappresentante Permanente, negli anni Novanta, qualcuno diceva che il nostro Ambasciatore in quella sede avrebbe potuto tranquillamente dedicarsi al golf. Ma in quegli anni successe di tutto: l’intervento nei Balcani, l’allargamento ad Est, l’accordo con la Russia, il Partenariato per la Pace. Si lavoravca dalla mattina alla sera e la NATO restava al centro della politica internazionale e di quella italiana (tutto questo l’ho documentato a sufficienza in un libro, Servizio di Stato). Ma anche nel nuovo secolo, con tutti i problemi in Ucraina, nel Medio Oriente, nel Maghreb, l’Alleanza resta un asse insostituibile della nostra sicurezza  e un luogo chiave della nostra politica estera. A Claudio Bisognero non mancheranno le sfide. A lui, come a Calenda, auguri di buon lavoro.

©Futuro Europa®

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