Petrolio, cosa c’è dietro l’oro nero

Se il petrolio costa 28 dollari a barile, contro i 147 del 2008 e i 100 del 2013, come mai dall’inizio e per tutto il periodo di calo della domanda e dei prezzi i Governi da Monti a Renzi hanno portato avanti un’inedita stagione petrolifera nello splendido territorio del Bel Paese? Perché lo hanno fatto mantenendo per lo Stato diritti di sfruttamento fra i più bassi nel mondo? Come mai hanno favorito questo non-business in un periodo negativo, e continuano a farlo? Con lo scarso e povero petrolio italiano, e con le quotazioni ai minimi, che ci guadagnano, le Compagnie? Possibile che l’irruzione degli Stati Uniti come primo produttore mondiale di petrolio, la riapertura dei mercati al greggio iraniano, la circolazione di petrolio di contrabbando, il calo della domanda di energia dovuta alla crisi mondiale e la crescita delle Rinnovabili in tutto il mondo non abbiano aperto gli occhi ai governanti nostrani e ai petrolieri? Perché il Governo, pur di cedere a canoni da monocamera in periferia i mari, le valli e i paesaggi italiani, insiste nello scontro e tra emendamenti e accettazioni col contagocce dei referendum fa il gioco delle tre carte con le Regioni investite dalle ‘trivelle’? E perché nel nostro Paese è tollerato l’impatto ambientale dei pozzi di petrolio e demonizzato quello degli impianti del solare termodinamico a concentrazione, di invenzione italiana? Perché, mentre con i nostri brevetti e le nostre aziende insegniamo al mondo come produrre energia con il sole, noi puntiamo, ancora, sul superato petrolio?

Capirlo, non è facile: almeno finché non si guarda oltre lo scenario nazionale, e al di là di una logica di mercato ‘normale’, lineare. Bisogna uscire dal senso comune, pensare che il mondo è dominato dai Mercati, e che quelli che noi consideriamo ‘beni’ sono divenuti, per i Mercati, ‘commodities’: cioè fiches utili per il gioco in Borsa piuttosto che per il nostro consumo. E il petrolio è una di queste. Secondo: questo gioco è al di sopra non solo degli interessi dei consumatori, ma a volte addirittura di quelli delle Compagnie. In questo momento, infatti, coinvolti dagli effetti delle basse quotazioni dell’oro nero sono interi Paesi, che per coprire il consumo interno non hanno diversificato le fonti energetiche con sufficienti Rinnovabili e che sull’oro nero contano moltissimo per le esportazioni, come la Russia di Putin; che fra l’altro con la sua rete di oleodotti e i suoi flussi di vendita è contigua, geograficamente e potenzialmente, ai giacimenti del Medioriente. Sarà un caso che l’America di Obama, che fa mostra di ritirarsi da molti scenari internazionali come quello mediorientale, ed ha ridotto al massimo i Marines impegnati in missioni all’estero, abbia invece aumentato l’uso dei droni e immesso sul mercato il suo immenso potenziale produttivo, sempre considerato di valore strategico. Sarà un caso che i Paesi Arabi stiano da tempo attrezzandosi con l’energia solare, e per la precisione con la tecnologia italiana da noi snobbata, per coprire la propria domanda interna e si trovino ora a poter ‘fare il prezzo’ del greggio senza soffrirne troppo; e che sulle Rinnovabili, solare ‘italiano’ compreso, stiano investendo massicciamente anche la Cina e il Giappone. Saranno casi, ma con un effetto comune: la accresciuta gestibilità della ‘commodity’ petrolio per i minori impatti sulle forniture che una nuova crisi petrolifera potrebbe procurare. Ma solo per chi dal petrolio non dipende, sia come produttore che come importatore, e sia in condizioni di attraversare, se non gestire, una eventuale crisi col coltello dalla parte del manico.

Potrebbe essere questa, quindi, la ragione che ha spinto gli ultimi Governi a metter mano alle riserve strategiche italiane. Stando ai dati del Ministero dello Sviluppo Economico relativi al 2015, elaborati da Legambiente, le nuove ricerche riguardano 127mila chilometri quadrati soltanto in mare, dove sarebbero presenti 10 milioni di tonnellate di petrolio alle quali sono interessate 13 compagnie petrolifere. Per averne un’idea, l’Arabia Saudita dispone di riserve stimate in 37 miliardi di tonnellate circa. I permessi di ricerca rilasciati sono già 16, ma vi sono altre 38 richieste di permesso di ricerca, 8 richieste di permesso di prospezione e 5 richieste di concessione per l’estrazione. Un gran daffare per vantaggi irrisori, per le Compagnie, per lo Stato e per le popolazioni: sono solo favoleggiati i 25 mila posti di lavoro promessi, inverosimili in assoluto, dato che sarebbero per esempio la metà di quelli della compagnia principe dell’Arabia Saudita che lavora però su una riserva 37mila volte più consistente, e ancor più oggi, in un’era di piattaforme gestite e manovrate per via telematica da remoto. Posti di lavoro inimmaginabili anche nelle collegate raffinerie a terra, come dimostra la vertenza di questi giorni sul petrolchimico di Gela, in via di ridimensionamento con la perdita di centinaia di posti di lavoro mentre le piattaforme in mare aumentano.

A ben vedere, in questo momento l’Italia sta mettendo mano alle proprie riserve di petrolio, rimaste ‘strategiche’ e non sfruttate per un secolo, proprio come stanno facendo gli USA, che dopo più di un secolo di protezione sembrano decisi a giocarsi il forziere nazionale di olio nero. Perché? Ma perché gli Usa investono massicciamente in Rinnovabili, nel Solare, ma anche, con grandi nuove dighe, nell’Idroelettrico, e noi regaliamo aziende e cervelli all’estero? E sembra che per le Compagnie sia diventato importante il poter continuare a vantare un certo potenziale industriale, in termini di pozzi attivi o anche solo predisposti, piantando le proprie bandierine persino sulle modeste riserve italiane. C’è da augurarsi che questi movimenti non annuncino il prepararsi di nuove tempeste. Il nostro Paese è coinvolto suo malgrado in un gioco del tutto indifferente al valore del suo territorio e alla sua economia. Un gioco indifferente ad un modello di sviluppo moderno, ‘green’, e al benessere dei cittadini, e dentro al quale è stato tirato con la fine dei governi eletti. Un gioco che sta svendendo i gioielli di famiglia, le vere riserve strategiche dell’Italia, che sono il suo paesaggio, il suo ambiente, le sue produzioni tipiche, il suo potenziale nel turismo. Un gioco che sta mettendo in crisi il nostro vero ‘petrolio’, l’immagine stessa del Bel Paese. Un gioco non italiano, al quale i recenti governi partecipano pienamente e in barba al Paese perché ‘tecnici’, ovvero non eletti dagli Italiani; e non a caso il Piano Energetico Nazionale ancora latita. Un gioco giocato da Paese-satellite. E forse questo spiega la nulla incentivazione italiana ai grandi impianti di Rinnovabili, sulle quali investono invece i Grandi, con l’effetto per noi di una minore indipendenza energetica e di una continuata dipendenza dai produttori di petrolio.

Un gioco che a livello mondiale evidenzierà la resilienza delle Rinnovabili rispetto all’inerzia dei Fossili; un gioco che, al di là delle fiammate di Borsa, a livello mondiale continuerà a ridimensionare i consumi di idrocarburi a vantaggio, indirettamente, anche del Clima, anche se non nasce per risolvere i problemi del Clima; ma che paradossalmente da noi avrà effetti disastrosi per l’Ambiente. Un gioco per il quale con gli ultimi governi l’Italia ha pagato un prezzo che non può permettersi di pagare. Un prezzo insostenibile, sul quale gli Italiani avranno modo di esprimersi col referendum sulle Trivelle: che dovrà essere accorpato alle amministrative, per non generare un costo molto vicino all’incasso in royalties derivante dai pozzi di petrolio.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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12 Commenti per "Petrolio, cosa c’è dietro l’oro nero"

  1. Non dovrebbe essere tollerato alcun abuso in termini di rilascio dei titoli autorizzativi sia che trattasi di petrolio sia che trattasi di rinnovabili selvagge. Dove per termine “selvaggio” si intende la devastazione di un territorio: consumo di suolo, enorme consumo d’acqua, forte impatto ambientale su tutte le matrici ambientali, sconvolgimento dell’identità di un territorio. Tutti aspetti riscontrabili sia nei progetti petroliferi sia nei mega progetti speculativi legati a mega impianti, solo in parte rinnovabili, che inquinano il vero settore delle VERE rinnovabili concepite a misura d’uomo e non a misura delle lobby dell’energia.
    Infatti, dovremmo convenire sul fatto che tanti devastanti progetti andrebbero concepiti nelle aree desertiche e non in aree agricole di alto pregio e particolarmente antropizzate. Andrebbero concepiti nel deserto attività petrolifere così impattanti come quelle presenti nella Val D’Agri (Basilicata) e andrebbero concepiti nel deserto, o comunque in aree degradate, i mega impianti termodinamici previsti su centinaia di ettari di superficie. Infatti, gli impianti termodinamici cui si fa riferimento, siano quelli statunitensi o marocchini, sono collocati in aree desertiche. Mega impianto termodinamico della California “Ivanpah” collocato nel deserto del Mojave; impianto “Noor” nel Marocco nel deserto a sud della città marocchina di Ouarzazat. Collocare tali impianti nelle aree desertiche non è solo un problema di forte impatto sul territorio, ma anche legato ai rischi di incendi ed esplosioni in quanto sottoposti alla Direttiva Seveso perché attività a rischio di incidente rilevante come, purtroppo, il cento Olio di Viggiano in Basilicata per la preraffinazione petrolifera. La differenza risiede nel fatto che il Centro Olio di Viggiano è un’attività sottoposta alla Direttiva Seveso ed occupa una superficie di 18 ettari, mentre ogni singolo impianto termodinamico previsto in Italia (compreso quello in Basilicata di 226 ettari) è sottoposto alla Direttiva Seveso ed occupa centinai di ettari. La Rinnovabili sulle quali puntare ci sono, ma non andrebbero certo concepite tramite megalomani impianti che fanno comunque ricorso alle fonti fossili, come il gas metano, per insufficiente irraggiamento solare. La politica delle rinnovabili deve passare dal rispetto del territorio altrimenti si rischia di commettere gli stessi errori avvenuti con il petrolio che avvantaggia spropositatamente le lobby dell’energia senza ricadute tangibili anche causando un vero impoverimento.

    • Francesco Paolo Mancini | 24 Gennaio 2016 a 20:03:34 | Rispondi

      Ringrazio del commento. Sul solare termodinamico a concentrazione dobbiamo distinguere attentamente: è vero che si propongono ancora progetti di ‘solare termodinamico’ che scalda olio diatermico, con minore rendimento e infiammabile; progetti a minor costo perché di prima generazione. Ma il ‘solare termodinamico a concentrazione’ di cui parliamo nell’articolo, è la versione di ultima generazione, quello di Enea-Enel per capirci, che non ha bisogno di fonti fossili per compensare la mancanza di irraggiamento, perché il materiale riscaldato, ovvero sali fusi appunto, raggiunge temperature molto più alte, ed è in grado di accumulare questo maggior calore e di rilasciarlo di notte o con copertura nuvolosa. I sali fusi poi, oltre al maggiore rendimento, non sono infiammabili, come invece l’olio utilizzato per esempio nella versione di prima generazione, superata, del ‘termodinamico a concentrazione’, e negli impianti degli Stati Uniti citati nella risposta. I sali fusi inoltre, se accidentalmente dispersi nell’ambiente, non inquinano essendo un composto simile a quelli utilizzati come fertilizzanti.
      Detto questo, il nostro Paese anche attraverso le Regioni, in questo caso non snobbate come per le decisioni sulle trivelle, ha impedito al Progetto di Enea-Enel non già la realizzazione di mega-impianti – peraltro previsti come non massimamente produttivi e da non realizzare se non in limitate aree – ma piuttosto quella di impianti dimostrativi, utili ad una limitata produzione ma di enorme importanza per attivare un circuito produttivo afferente all’Italia. L’unico impianto realizzato, oltre a quello presente nella sede di Enea a La Casaccia (Roma), è quello di Priolo Gargallo, presso Siracusa, in Sicilia. La ricerca italiana ha prodotto questa versione, ma l’Italia ha snobbato di ‘esportare’ con la sua diplomazia commerciale la tecnologia vanificando un importante interesse nazionale. Ricordiamo infatti il progetto Desertec, che prevedeva una rete di impianti di solare termodinamico a concentrazione in Nord Africa, fallito per via della Primavera Araba, ma a quel punto abbandonato ‘volato’ verso il Medio e l’Estremo Oriente: l’energia prodotta sarebbe stata solo veicolata tramite elettrodotti verso il nostro Paese e l’intera Europa. Se l’Italia avesse mantenuto, come nel progetto, il ‘controllo’ della situazione. Detto questo, credo che chiunque creda nelle Rinnovabili non ne parli per sponsorizzare qualcuno e non ami quelli che impongono ai territori le cose dall’alto. E’ giusto che i territori decidano. E’ sacrosanto. Ma per farlo devono veder riconosciuto con informazioni corrette il proprio diritto di essere informati.

      • No Megacentrale | 24 Gennaio 2016 a 20:38:59 | Rispondi

        Grazie per la precisazione, ma gli impianti proposti in Sardegna sono a sali fusi, ma le criticità persistono.

      • Ringraziamo per la risposta al nostro commento alla quale riteniamo importante replicare. Ci fa piacere che fa un distinguo tra termodinamici di prima generazione e di ultima generazione lasciando intendere che la prima generazione è più impattante poiché ricorre all’utilizzo di oli diatermici.

        In Basilicata, purtroppo, tra le tante assurdità, viene presentato un impianto solare termodinamico di prima generazione che prevede 2.100 tonnellate di oli diatermici nei ricevitori e nei collettori. Ma il problema dei termodinamici (CSP) non risiede solo nell’utilizzo dell’olio diatermico, ma anche in tante altre problematiche che accomunano, inevitabilmente, pure gli impianti di ultima generazione che utilizzano, come fluido termovettore e come accumulatore, i sali fusi. Quali i problemi? Pur non prevedendo l’utilizzo di oli diatermici, tali impianti continuano ad essere considerati attività industriali da sottoporre alla Direttiva Seveso in quanto a rischio di incidente rilevante poiché i sali fusi, in quanto comburenti, vengono utilizzati in quantità superiori al limite delle 50 tonnellate inteso, quest’ultimo, come limite soglia previsto dalle normative vigenti per non essere sottoposti alla inquietante Direttiva. Sa qual è la quantità di sali fusi utilizzati nell’impianto termodinamico in Basilicata? 38.000 tonnellate (a fronte del limite soglia di 50) oltre alle 2.100 tonnellate di olio diatermico (limite soglia 500).

        In Sardegna non utilizzano oli + sali fusi, ma unicamente sali fusi nell’ordine delle decina di migliaia di tonnellate tali da renderli comunque attività da sottoporre alla Direttiva Seveso. Conosce altri impianti alimentati da fonte rinnovabile che si trascinano con sé l’essere attività a rischio di incidente rilevante? Non vene sono. Solo i solari termodinamici (CSP) di grandi dimensioni, anche se utilizzano unicamente i sali fusi, sono soggetti alla citata Direttiva.

        È importante precisare che non si sta parlando dell’impiantino dimostrativo di Priolo in Sicilia di appena 5 MWe che per funzionare utilizza la stessa turbina della centrale termoelettrica alimentata a gas metano, ma di impianti con potenza elettrica di 50-55 MW. Non stiamo parlando di impianti nel deserto, come quelli del Nord Africa a cui fa riferimento, ma di impianti in aree agricole ad alto valore ambientale, paesaggistico, agricolo ed a poche centinaia di metri da luoghi fortemente antropizzati.

        Se ci dovessimo chiedere come mai i vari impianti termodinamici, presentati in Italia, non sono stati autorizzati, la ragione andrebbe ricercata in una sola costatazione: carenze progettuali, carenze negli studi di impatto ambientali presentati e mancanza di informazione. Propria quella informazione di cui lei parla nel suo commento.

        Lei parla di informazione sui termodinamici.
        Bene, ci sarebbe da scrivere pagine e pagina di mancata informazione da parte di chi (le società d’affari) vogliono far apparire come luccicante ciò che non luccica affatto, almeno in Italia. Ci limitiamo a fare un po’ di informazione sui i sali fusi di cui lei ha parlato. Si tratta di Sali al 60% di nitrato di sodio e al 40% di nitrato di potassio. E’ noto che le acque ricche di sali e di sodio degradano i suoli, in quanto ne determinano la salinizzazione e la sodificazione riducendone sostanzialmente la fertilità. Entrambi i sali utilizzati (nitrato di sodio (NaNO3) e il nitrato di potassio (KNO3) possiedono un’elevata solubilità in acqua, che consentirebbe loro una rapida diffusione nella matrice suolo ed eventualmente nelle falde acquifere sottostanti; un accidentale sversamento di sali fusi, concomitante al verificarsi di precipitazioni meteoriche di una certa intensità, rappresenta un impatto ambientale sia nel caso di sali fusi che solidi. Infatti i sali nitrici presentano un al diminuire della temperatura che, peraltro, con la loro solidificazione diminuisce, ma resta comunque considerevolmente alta. È chiaro che anche i concimi contengono i nitrati, ma è facilmente comprensibile che le quantità di cui stiamo parlando per un solare termodinamico sono elevatissime se paragonate alle misere quantità usate nella concimazione. Sono talmente elevate da rendere tali impianti sottoposti alla direttiva Seveso proprio per l’enorme quantità in gioco. Il rischio della contaminazione dei nitrati, in seguito a sversamenti da parte degli impianti termodinamici, è tutt’altro che remota se si considera che la falda acquifera, nel caso dell’impianto presentato in Basilicata, è presente a pochi metri dal piano campagna e, evidentemente, ci troviamo in aree per nulla desertiche.

        In aggiunta la stessa ENEA nel “Quaderno del solare termico” del Luglio 2011, nel paragrafo titolato valuta che “Le prospettive di applicazione in Italia […] appaiono modeste, […]. Rimangono disponibili le aree industriali dismesse o le discariche esaurite, dove questi impianti potrebbero rappresentare un utile modo per riqualificare l’ambiente” e nel paragrafo titolato si afferma che la tecnologia del solare termodinamico “consente di valorizzare terreni non altrimenti utilizzabili, come le aree desertiche, le aree industriali dismesse o le discariche esaurite”.

      • Le nostre critiche non sono affatto di parte poiché crediamo nelle rinnovabili, ma non in quelle che danneggiano il territorio. Dovrebbero far riflettere le osservazioni, non nostre, ma dell’associazione assoRinnovabili che sono state inviate al Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) con la richiesta di azzerare gli incentivi ai grandi impianti solari termodinamici in Italia nel nuovo decreto sull’incentivazione delle rinnovabili diverse dal FV, ormai in dirittura d’arrivo.

        Osservazioni facilmente reperibili in rete così come le informazioni su assoRinnovabili che rappresenta una grande associazione dei produttori, dell’industria e dei servizi per le energie rinnovabili che riunisce e rappresenta dal 1987 i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili. Costa di 1.000 Soci, oltre 2.400 impianti per un totale di più di 13.000 MW di potenza elettrica installata che producono 30 miliardi KWh di energia elettrica pulita, per un totale di 16 milioni di CO2 all’anno in meno nell’aria che respiriamo. AssoRinnovabili fa parte di 7 network tra nazionali e internazionali: SolarPowerEurope, ESHA (European Small Hydropower Association), EWEA (European Wind Energy Association), the General States of the Green Economy, RES4MES, Kyoto club, Coordinamento FREE (Green Energy and Energy Efficiency).

        È proprio l’associazione assoRinnovabili ad auspicare che il MiSE rifletta se possa essere considerato realmente di interesse strategico per il nostro Paese incentivare gli impianti solari termodinamici di grande taglia. Infatti, assoRinnovabili fa notare che, qualora venissero realizzati, essi assorbirebbero risorse fino a 100 milioni di euro all’anno (quindi 2,5 miliardi di euro per l’intero periodo di incentivazione di 25 anni). Fino ad oggi, gli impianti di grande taglia hanno avuto forti difficoltà a ottenere le autorizzazioni necessarie alla costruzione ed esercizio.AssoRinnovabili, tramite le sue osservazioni all’art. 12, comma 3, invita i Ministeri a valutare se tali risorse possano essere più utilmente destinate a impianti di taglia minore o, ancor meglio, a tecnologie maggiormente competitive a fronte del ridotto arco temporale del Decreto che prevede un orizzonte molto breve: fino al 1° dicembre 2016.

  2. No Megacentrale | 24 Gennaio 2016 a 20:35:59 | Rispondi

    Tutti noi auspichiamo un modello di sviluppo che vada ad implementare le energie da fonti rinnovabili, ma sostenibili, che sostituiscano la dipendenza dalle fonti fossili, e quindi anche per la produzione di materiali di vario utilizzo, e quindi che non pongano tutti quei Paesi detentori di tale risorsa in una posizione di supremazia,con forti interferenze sugli equilibri geopolitici mondiali. Le soluzioni ci sono per evitare l’ulteriore compromissione del territorio con i vari permessi e concessioni off-shore e on shore, e sono rappresentate dal mondo delle rinnovabili: sottolineiamo che fra tutte quelle che si potevano menzionare si cita il solo termodinamico solare quale soluzione possibile (e l’idroelettrico), e che si ritiene quindi rispettosa dell’ambiente e del paesaggio, dell’agricoltura e dei beni identitari, questo per consequenzialità con l’articolo, sottacendo che gli impianti proposti in Italia, e nello specifico in Sardegna, (meglio definibili come mega impianti) non sono sostenibili tecnicamente, socialmente, e tanto meno dal punto di vista paesaggistico e ambientale. Trattasi di impianti che sottraggono oltre 500 ettari di suoli agricoli e produttivi, con varie attività avviate, con esigenze idriche ancor meno sostenibili alla luce dell’imminente crisi siccitosa che si sta presentando (e qui possiamo discutere anche sull’idroelettrico), con siti SIC e ZPS prossimali e interni alle stesse aree, con nessuna ricaduta per la collettività, e con l’immissione di inquinanti da combustione di energie fossili, infatti tali impianti non si sostengono con la sola energia solare, essendo l’insolazione minimale. Esempi di tali impianti gli abbiamo nei deserti di vari continenti, o in aree poco appetibili per altri usi, quindi in luoghi distanti dai centri abitati con grandi spazi e pochi vincoli di natura ambientale e sociale. Le società non sono interessate a piccoli impianti per la produzione e il dispacciamento in prossimità, no sono interessate a rivendere l’energia prodotta e abbondantemente incentivata dal governo, che copre il rischio d’impresa, nonostante l’inefficienza degli impianti. Ancora gli si vogliono fare per acquisire il famoso Know-how, da esportare in altri Paesi. Per concludere si può affermare che le energie rinnovabili sono il futuro ma affinché sia vera tale affermazione non possiamo compromettere i territori come si è fatto con le energie fossili, quindi prima la sostenibilità. Meglio prevenire che curare.

  3. Francesco Paolo Mancini | 24 Gennaio 2016 a 23:32:17 | Rispondi

    Ringrazio per le precisazioni, che fanno capire come mai le Rinnovabili in Italia non decollino e le Trivelle invece sì.

    • Le precisazioni fanno capire una sola cosa: in Italia si investe poco nelle tecnologie serie e pulite. Si investe tanto nella speculazione che si chiami petrolio o rinnovabili selvagge, non fa differenza in quanto entrambe caratterizzate dalla mancanza di rispetto del territorio e dell’ambiente che viene visto, quest’ultimo, non come una risorsa, ma come un mezzo da depredare per raggiungere tanti zero al proprio profitto societario in tempi brevi e senza le lungaggini dettate da seri studi di impatto ambientale che puntualmente sono realizzati tramite squallidi “copia/incolla” offendendo intere Comunità. Quelle Comunità locali che credono nelle VERE rinnovabile e non certo in quelle speculative concepite non a servizio della collettività, ma unicamente a servizio dei portafogli delle lobbies energetiche che guardano non alle emissioni ZERO, ma ai tanti zero da aggiungere ai propri introiti tramite incentivi che continuiamo a pagare tutti noi in bolletta. Il termodinamico (CSP) in Italia ha l’aggravante di non avere neppure emissioni zero, poiché immette in atmosfera gli inquinanti derivanti dalla combustione di milioni di normal metri cubi di gas metano, da bruciare ogni anno, per sopperire (sia in Basilicata sia in Sardegna) all’insufficiente irraggiamento solare.

    • No Megacentrale | 29 Gennaio 2016 a 20:11:35 | Rispondi

      Se è questo il messaggio che ha colto dalle precisazioni, allora forse si è messo il dito sulla piaga, ossia la coerenza tra i principi enunciati nello stesso articolo, posti quale risoluzione ai problemi, e ciò che si mette in pratica a livello progettuale e di programmazione. Ad ogni modo proprio perchè teniamo alle rinnovabili si farà tutto il possibile affinché tali possano essere definite nella pratica.

  4. V.A.S. per il Vulture Alto Bradano | 25 Gennaio 2016 a 09:49:59 | Rispondi

    Ancora c’è chi parla a favore del solare termodinamico in Italia? Per gli impianti solari a tecnologia termodinamica è previsto, in Italia, il consumo di suolo di centinaia di ettari per singolo impianto, in completo disaccordo con quanto evidenziato da autorevoli lavori scientifici come il “Global Potential of Concentrating Solar Power” discusso nella Conferenza mondiale “SolarPaces Conference Berlin” nel 2009, in cui si precisa che la tecnologia solare a concentrazione (CSP) come quella termodinamica con captatori parabolici trova applicazione nelle regioni aride (arid desert regions) che in Italia non vi sono differentemente dall’Arabia Saudita, dal Nord Africa, dal deserto californiano negli USA e dalle aree desertificate della Spagna. Pensiamo alle rinnovabili non devastatici del territorio e a stimolare investimenti seri nell’efficienza energetica, con seri decreti attuativi, piuttosto che parlare di tecnologie del tutto incompatibili con la realtà ambientale italiana.

  5. Una piccola osservazione che serve per arricchire l’informazione di cui l’autore dell’articolo parla. Dovrebbero far riflettere le osservazioni, non nostre, ma dell’associazione assoRinnovabili che sono state inviate al Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) con la richiesta di azzerare gli incentivi ai grandi impianti solari termodinamici in Italia nel nuovo decreto sull’incentivazione delle rinnovabili diverse dal FV, ormai in dirittura d’arrivo.
    Osservazioni facilmente reperibili in rete così come le informazioni su assoRinnovabili che rappresenta una grande associazione dei produttori, dell’industria e dei servizi per le energie rinnovabili che riunisce e rappresenta dal 1987 i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili. Costa di 1.000 Soci, oltre 2.400 impianti per un totale di più di 13.000 MW di potenza elettrica installata che producono 30 miliardi KWh di energia elettrica pulita, per un totale di 16 milioni di CO2 all’anno in meno nell’aria che respiriamo. AssoRinnovabili fa parte di 7 network tra nazionali e internazionali: SolarPowerEurope, ESHA (European Small Hydropower Association), EWEA (European Wind Energy Association), the General States of the Green Economy, RES4MES, Kyoto club, Coordinamento FREE (Green Energy and Energy Efficiency).
    È proprio l’associazione assoRinnovabili ad auspicare che il MiSE rifletta se possa essere considerato realmente di interesse strategico per il nostro Paese incentivare gli impianti solari termodinamici di grande taglia. Infatti, assoRinnovabili fa notare che, qualora venissero realizzati, essi assorbirebbero risorse fino a 100 milioni di euro all’anno (quindi 2,5 miliardi di euro per l’intero periodo di incentivazione di 25 anni). Fino ad oggi, gli impianti di grande taglia hanno avuto forti difficoltà a ottenere le autorizzazioni necessarie alla costruzione ed esercizio.AssoRinnovabili, tramite le sue osservazioni all’art. 12, comma 3, invita i Ministeri a valutare se tali risorse possano essere più utilmente destinate a impianti di taglia minore o, ancor meglio, a tecnologie maggiormente competitive a fronte del ridotto arco temporale del Decreto che prevede un orizzonte molto breve: fino al 1° dicembre 2016.

  6. Forum SiP - VAB | 25 Gennaio 2016 a 12:40:19 | Rispondi

    Come sempre si parla senza conoscere con esattezza la situazione in Italia. Differentemente da un impianto a tecnologia fotovoltaica (FV), basato sull’utilizzo dell’irraggiamento solare diretto e diffuso, il termodinamico a concentrazione (CSP – Concentrated Solar Power), ha bisogno di elevati valori di irraggiamento solare normale diretto (DNI – Direct Normal Irradiation).
    Si comprende il perché sia auspicabile l’istallazione di tali impianti in terreni desertici in cui è possibile far affidamento ad elevati valori di DNI con l’occupazione di estese superfici senza arrecare danni all’agricoltura e alle possibili falde presenti nel sottosuolo.
    Invitiamo a leggere un lavoro scientifico presentato a Berlino nel 2009 alla Conferenza sul solare (Trieb et al., 2009) in cui viene precisato che la tecnologia solare a concentrazione (CSP) trova applicazione nelle regioni aride e con una radiazione solare diretta annua (DNI) compresa tra i 2.000 e i 2.800 kWh/mq a fronte del valore di irraggiamento medio annuo previsto nella Regione Basilicata che non supera i 1.500 kWh/mq (pari a 4 kWh/m²/giorno) e poco superiore nel caso della Sardegna dove sono previsti ben 4 impianti con tale tecnologia del tutto inappropriata per il nostro Paese.
    In Italia, tali impianti non posso funzione unicamente con l’energia solare, ma hanno bisogno di essere affiancati da centrali termoelettriche tradizionali, alimentate a gas metano, per il loro necessario funzionamento in continuità e sicurezza. E’ proprio l’ENEA (Fontanella et al., 2011) ad affermare che “Il solare termodinamico si avvia a diventare una tecnologia commerciale in grado di dare significativi contributi all’approvvigionamento energetico mondiale. Presenta una serie di caratteristiche interessati (…) e consente di valorizzare terreni non altrimenti utilizzabili, come le aree desertiche, le aree industriali dismesse o le discariche esaurite”.

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