Berlusconi nel labirinto

Berlusconi compie quest’anno ottanta anni, ma non demorde. È ormai una grottesca maschera di sé stesso, il volto inceronato, la calotta dei capelli falsi e ritinti, il sorriso stereotipato. Ma fa sapere che è “di nuovo in campo” e proclama che, senza di lui, Forza Italia sarebbe al 4%. Non sono cifre a vanvera, si basano sui sondaggi disponibili e quindi quel che dice Berlusconi è esatto. C’è gente che ancora continua a illudersi della sua capacità di leadership, che ancora crede in lui, ostinatamente, nonostante l’evidenza contraria, nella sua guida (non è strano: la fede cieca è dura a morire, quanta gente ancora andava agli ultimi comizi di Ceausescu?); ma quello che B. non dice è che, anche con lui, FI sta oggi sotto il 10%. Triste constatazione di un fallimento: dopo 22 anni al governo o all’opposizione, ma sempre al centro della politica italiana, Berlusconi è riuscito a ridurre al lumicino il Partito da lui creato, un tempo al di sopra del 30%. Perché, non equivochiamoci: FI è Berlusconi, a lui doveva la sua nascita e le sue vittorie, a lui deve le sue sconfitte.

La lista degli errori che hanno portato a questo fallimento è lunga e viene da lontano. Da tutte le promesse tradite, dall’irresponsabilità, dall’ immoralità pubblica e privata. Da ultimo, dalla condotta erratica e capricciosa: appoggio e poi siluro a due governi, Monti e Letta, nei quali pure FI poteva svolgere un ruolo importantissimo a beneficio del Paese; dispettosa rottura del Patto del Nazareno, che l’associava al processo riformatore; voto contrario, ora (ma con ce faccia?), a riforme votate dalla stessa FI in prima lettura; le scomposte intemperanze dei vari Brunetta; la tentazione del populismo; la scelta di allearsi alla destra estrema di Salvini e Meloni, tradendo quel grande centro moderato  e popolare che è la sola vera possibilità per l’Italia di non restare perpetuamente nelle braccia della sinistra o, peggio, cadere in quelle di Grillo e Casaleggio. Gli errori si pagano: con le tante diaspore di gente che abbandona la barca, con la barca che affonda.

Ora, come risultato , l’ex-Cavaliere, come un personaggio di Italo Calvino, è più che dimezzato (quel che dice fa notizia solo in una TV servile o in quella pubblica, obbligata a usare il bilancino dell’imparzialità e dare eguale spazio ad ogni “villan che parteggiando viene”) e si aggira in un inestricabile labirinto. Con un partito sotto al 10%, la sua sola speranza di sopravvivenza nelle elezioni locali è occultarsi dietro liste civiche e, comunque, forgiare  una stretta alleanza con la Lega. Ma la Lega, col suo 14%, si sente superiore e vuole condurre il gioco. Di quel gioco, al tempo di Bossi, Berlusconi era il padrone. Oggi non lo è più. Il padrone è Salvini e non manca occasione di ricordarlo a tutti. Ma con Salvini la destra (che non può più legittimamente incollarsi l’epiteto di centro) è destinata, magari a vincere qua e là al Nord, ma a perdere su scala nazionale, che è quella che a Berlusconi dovrebbe interessare. Ed è quella che interessa a chiunque abbia veramente in mente il bene del Paese e il suo avvenire liberale ed europeo.

Come uscire da questo labirinto? Rinunciando allo sconsiderato protagonismo, favorendo l’emergere, attraverso un processo magari lungo e faticoso ma necessario di primarie interne e scelta dal basso, di un leader attorno a cui  possa tornare a riunirsi quel grande centro moderato che sulla carta esiste ma che – finché al centro si ostina a restare lui, questo ormai patetico personaggio, agganciato disperatamente alla destra estrema – non nascerà mai.

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