Cronache dai Palazzi

La Buona scuola non decolla. Emendamenti e subemendamenti, circa tremila, bloccano il provvedimento e la commissione Istruzione di Palazzo Madama è costretta a fermare i lavori che riprenderanno martedì 23 giugno. “Entro dieci giorni il Senato deve licenziare il provvedimento sulla scuola”, ammonisce Palazzo Chigi che preme affinché la riforma dell’istruzione diventi legge entro la fine del mese, compreso il passaggio alla Camera. Al massimo i tempi si potranno allungare ai primi di luglio, altrimenti salterà tutto, anche le assunzioni dei precari. Il governo potrebbe alla fine sfoderare un maxiemendamento, portare il testo direttamente in Aula e, per di più, chiedere la fiducia.

Visti i tempi molto stretti l’ipotesi della fiducia non  è poi così improbabile, tutto ciò servirebbe inoltre a smarcare minoranza dem e opposizioni che richiedono modifiche sostanziali. “Saltare la commissione significherebbe esautorare il Parlamento, bypassarlo sarebbe gravissimo, non possiamo essere ostaggio di una divisione all’interno della maggioranza pd”, ha sottolineato in questo contesto Corradino Mineo della minoranza dem, che con Walter Tocci chiede che vengano subito assunti i centomila precari. Mentre il presidente della commissione Andrea Marcucci (Pd) su twitter scrive: “Con senso di responsabilità di tutti i gruppi possiamo approvare #labuonascuola”.

“Sulle riforme noi non ci fermiamo, andiamo avanti diritti, il cammino è ancora lungo”, ha assicurato Renzi agli industriali in un messaggio inviato all’Assemblea di Confindustria. Il premier-segretario continua così la sua corsa e, dopo aver minacciato di far slittare le assunzioni al 2016, concede un’apertura esortando comunque a fare presto: “Discutiamo, facciamo modifiche ma poi votiamo, altrimenti saltano gli investimenti”.

Matteo Renzi vuole inoltre assicurarsi che i numeri siano in grado di reggere l’urto soprattutto a Palazzo Madama, per poi decidere i passaggi successivi: forse le riforme costituzionali potrebbero essere discusse prima della riforma sulla Rai, anche se quest’ultima è calendarizzata prima della riforma del bicameralismo. Fra i paletti fissati da Palazzo Chigi c’è il “no” categorico a qualsiasi ipotesi di frazionamento del pacchetto scuola. In pratica assunzioni e riforma sono due facce della stessa medaglia ed “è un’ipotesi che non esiste” pretendere il contrario. “Del resto è una sparuta minoranza della minoranza che ancora insiste su questo punto”, si vocifera nello staff del presidente del Consiglio.

Si tratta comunque di una minoranza dem che prende sempre più le distanze da Renzi, tantoché in un’intervista al Corriere della Sera Massimo D’Alema afferma che “occorre ricostruire il campo del centrosinistra”. Il presidente della fondazione ItalianiEuropei non nasconde inoltre il suo malcontento di fronte alla gestione Renzi, che dopo il 41 per cento alle Europee “si è illuso di avere oramai vinto e di poter fare da solo ma ha finito per deludere molte delle speranze che aveva suscitato”. D’Alema sottolinea che “tanti militanti e dirigenti hanno abbandonato il partito negli ultimi mesi e anziché capire che questo era il segno di un distacco progressivo di una parte importante dell’insediamento storico della sinistra, si è reagito con un atteggiamento sprezzante che ha finito per radicalizzare un sentimento negativo verso il Pd”, che oggi perde voti su più fronti e si trova a dover gestire più di un caso all’interno del quadro politico-giudiziario. “Basta questa finzione sui riformisti e i conservatori: tutti vogliamo le riforme – afferma D’Alema con decisione e un pizzico di amarezza -.Si tratta di capire se sono le nostre riforme oppure quelle ispirate dal centrodestra”.

Il leader dei Popolari per l’Italia Mario Mauro ha chiesto, a sua volta, che il governo ritiri il disegno di legge sulla scuola. “Io avevo dato il sostegno a Renzi proprio per la scuola, ma poi i capitoli sono stati scritti male”, ha dichiarato Mauro membro della VII commissione Istruzione al Senato che ha presentato 184 emendamenti alla Buona scuola negando qualsiasi “intento ostruzionistico”. “È un ddl sbagliato ed è miserabile il tentativo di scaricare sul Parlamento la sua mancata approvazione” ha affermato Mauro difendendo i suoi “emendamenti di merito” e ribadendo che viene “violato il patto tra Stato e cittadini che, nello specifico, aspirano a fare gli insegnanti”. Si tratta di un provvedimento che “produrrà ingiustizia, contenzioso e ammazzerà i conti dello Stato”.

Lo slittamento delle assunzioni ha provocato l’ira anche di Sel, che parla di “ricatto del Pd assolutamente vergognoso”, e dei 5 Stelle che lo hanno definito “assurdo”, mentre la Lega continua a scagliarsi contro l’esecutivo promettendo di non concedere “mai la fiducia ad un governo di incapaci che fa una finta riforma della scuola”.

Renzi comunque incalza e non cede: “Nessun ricatto, puoi assumere solo se cambi il modello organizzativo della scuola che non può diventare ammortizzatore sociale per i precari”. In pratica il presidente del Consiglio continua a ribadire che per la scuola serve “un sistema organizzativo diverso”, altrimenti assumere diventa impossibile anche lì. Non a caso il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini parla di “un’operazione straordinaria”, non celando le difficoltà che si nascondono dietro all’obiettivo di assumere centomila persone entro settembre 2015. Protestano a questo punto i sindacati Flc-Cgil, Cisl, Uil Scuola, Gilda, Snals e Cobas che chiedono anche loro il ritiro del ddl gridando: “Basta ricatti, non ci fidiamo più, ora i precari sono diventati merce di scambio”. Il mondo della scuola attende quindi la conferenza attesa per i primi di luglio, e annunciata dal premier, per decidere quale sarà il futuro della Buona scuola: “Si faccia la conferenza in questione e poi ci si confronti sul da farsi”, ha dichiarato Mario Mauro.

Di certo la scuola, dato il passaggio politico delicatissimo, l’emergenza immigrazione, la ripresa debole insidiata dalla crisi greca e dalla disoccupazione, i risultati non proprio incoraggianti dei ballottaggi, può trasformarsi a tutti gli effetti in una pentola a pressione che potrebbe scoppiare in ogni momento facendo capitolare l’attività del governo. L’esecutivo di Renzi è convinto comunque che la maggioranza sia autosufficiente, anche senza l’aiuto dei “neoresponsabili” di Verdini (12-13 senatori).

Nel frattempo i sindacati Cgil, Csil e Uil non hanno ben digerito nemmeno le nuove regole messe in campo dal Jobs Act per quanto riguarda i controlli a distanza nei luoghi di lavoro. Un dei quattro decreti legislativi in attuazione modificando l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori prevede che le aziende potranno monitorare i propri dipendenti installando delle telecamere, o attraverso altri strumenti elettronici come pc, cellulari, gps senza stipulare alcun accordo con il sindacato. In pratica sarà sufficiente un’autorizzazione delle Direzioni del lavoro, i distaccamenti territoriali del ministero.

La novità assoluta consiste nel fatto che le informazioni acquisite potranno essere esibite in giudizio dagli imprenditori, che potranno utilizzare i dati a loro disposizione anche per fini disciplinari. Fino ad oggi il datore di lavoro ha potuto usare in giudizio le registrazioni di una telecamera soltanto quando ciò servisse a dimostrare di aver subito una danno, come ad esempio la sottrazione di un bene. Con le nuove regole invece l’uso delle informazioni diventa più ampio, anche se l’azienda dovrà informare il dipendente del materiale a disposizione e le stesse informazioni non dovranno essere utilizzate per ledere la privacy. Il testo è oggi sottoposto all’esame delle commissioni Lavoro di Camera e Senato, deputate ad esprimere un parere non vincolante. Il provvedimento sarà poi varato dal Consiglio dei ministri che potrà anche introdurre delle modifiche. “Confidiamo nella capacità di discernimento del ministro Poletti”, ha affermato il presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano evidenziando una forzatura nell’utilizzo della delega scritta nel Jobs Act: “La delega prevede un controllo sugli impianti non sulle persone”. Damiano invoca a sua volta il “buonsenso”, e auspica che il governo affidi una regolazione di questo tipo “alla contrattazione delle parti sociali”.

“La norma va cambiata. Questi aspetti devono essere regolati tramite la contrattazione, innanzi tutto quella di prossimità”, ammonisce Annamaria Furlan per la Cisl, mentre la segretaria nazionale della Cgil Serena Sorrentino denuncia un “colpo di mano del governo” e annuncia “battaglia in Parlamento”. Sorrentino invoca inoltre una verifica con il garante della privacy. Infine il segretario della Uil Guglielmo Loy che, premendo allo stesso modo l’acceleratore sul ruolo della contrattazione, non manca di rimarcare l’introduzione di “una deregolamentazione che va a solo vantaggio dell’impresa”.

©Futuro Europa®

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