G7 di Elmau, fermare l’Orso Russo

Intense ore di conferenze e consultazioni, quelle susseguitesi alle due giornate di vertice del G7 nella fiabesca cornice bavarese del castello di Elmau, oggi in classifica tra i più lussuosi top resort del mondo. I potenti della terra, “arroccati in fortezza” e lontani dagli echi di protesta dei circa 4.000 manifestanti scesi in piazza a Garmisch Partenkirchen, alla vigilia del summit, hanno concluso i lavori nel pomeriggio di lunedì scorso.

Nutrita, come di consueto, l’agenda dell’incontro. Largamente dibattuti i temi di natura economica, fra cui centrali il negoziato di liberalizzazione del commercio transatlantico tra Europa e Stati Uniti (TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership) e la pendenza greca, attorno alla quale ruota la credibilità dell’euro; sempre presenti anche le questioni legate al terrorismo e alla minaccia dell’Isis, il problema della massiccia migrazione dal Nord Africa attraverso il Mediterraneo e la grave e perdurante instabilità politica in Libia. Tuttavia, a tener banco nel confronto è stata la crisi in Ucraina, paese martoriato da sanguinose lotte intestine tra il governo legittimo dell’oligarca Petro Poroshenko e frange separatiste filo-russe sostenute dal Cremlino, scontri che hanno provocato, dopo la dichiarazione d’annessione della Crimea – nel marzo del 2014 – da parte di Putin, una profonda crisi politica e diplomatica nelle relazioni tra Mosca, Washington e Bruxelles. Da tale atto formale, Stati Uniti e Unione Europea, preoccupati non solo per l’emergenza umanitaria sollevata dalla guerra civile, ma anche per la possibilità di mire espansionistiche più ampie, hanno applicato severe sanzioni contro la Russia, escludendola dal consesso tra i paesi più industrializzati al mondo e riducendo il G8 all’attuale G7. Elmau rappresenta il secondo vertice consecutivo, al quale il presidente Vladimir Putin non è stato invitato: inevitabile pensare a un rafforzamento dello stato d’isolamento internazionale imposto a Mosca da Barack Obama e dagli stessi leader dell’UE.

Gli Usa accusano Putin di avere l’occhio nostalgicamente rivolto ai passati fasti del blocco sovietico e, in piena sintonia con la padrona di casa Angela Merkel e con gli altri partner europei, pur privilegiando la via della soluzione diplomatica affinché le parti in gioco osservino rigorosamente il cessate il fuoco, spesso violato, e ritirino milizie e armi pesanti, si sono dichiarati pronti ad aumentare durata e gravità delle sanzioni.

In sostanza, Washington non ha alcuna intenzione di allentare la morsa nei confronti dell’Orso Russo, finché non saranno osservati gli accordi presi a Minsk e rispettata la sovranità nazionale dell’Ucraina. Emerge, in tutta evidenza, quanto l’atteggiamento di cooperazione con l’Occidente, che ha caratterizzato la politica internazionale russa dopo il crollo del muro di Berlino, abbia – nel corso dei decenni – gradualmente sterzato verso il fronte della contrapposizione. Cronache recenti confermano il summenzionato trend: dopo la Crimea, i russi hanno creato ulteriori interferenze nella regione del Donbass e nella Repubblica popolare di Lugansk, auto proclamatasi indipendente e confluita – insieme alla Repubblica popolare di Doneck – nella Federazione della Nuova Russia, nello scorso aprile del 2014, senza alcun riconoscimento da parte dell’ONU e della UE.

Né va dimenticato, nel bilancio del conflitto, l’abbattimento del Boeing 777 della Malaysia Airlines, in volo sopra Kiev e diretto a Kuala Lumpur, che ha provocato la morte di 298 persone e generato un infinito scarica barile di responsabilità tra governo ucraino e separatisti. Sembra, dunque, inevitabile una naturale revisione dei rapporti intercorrenti con Mosca e una serie d’interventi preventivi, onde scongiurare il ritorno a un remake della guerra fredda o il palesarsi all’orizzonte di scenari ancor più allarmanti.

La Nato, nel frattempo, rafforza i pattugliamenti aerei nel Baltico e, mentre il ministro degli esteri russo fa sapere che il suo paese si riserva di intraprendere tutti i passi necessari per difendere sicurezza e interessi nazionali, Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, sull’assenza di Putin a Elmau dichiara che “il presidente è interessato a partecipare a formati più allargati, come il G20, maggiormente adatti a discutere con efficacia di problemi globali.” Che sia già calato il grande “gelo”?

©Futuro Europa®

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