ONU, il difficile compito in Yemen di Ismail Ould Cheikh Ahmed

Dopo le dimissioni del mediatore delle Nazioni Unite in Yemen, il diplomatico marocchino Jamal Benomar, arrivate dopo le vivaci critiche ricevute da parte dei Paesi del Golfo per il suo “infruttuoso” lavoro, sarà il nuovo inviato speciale, il mauritano Ismail Ould Cheikh Ahmed ad assumersi il difficile compito di condurre i negoziati di pace tra i ribelli Houti e il Governo yemenita. La sua nomina è stata salutata dall’Unione Europea, che ha dichiarato essere “pronta ad appoggiarlo immediatamente nei suoi sforzi”. Ricordiamo che lo Yemen è in preda ad una insurrezione di Houti, sciiti ce vogliono controllare il Paese dopo aver cacciato il Presidente dalla capitale Sanaa lo scorso 21 Febbraio. Dalla fine di Marzo, l’Arabia Saudita, leader di una coalizione di Paesi Arabi, sottopone il Paese a continui raid con il fine di indebolire l’insurrezione.

Ma chi è Ismail Ould Cheikh Ahmed? Il suo ultimo incarico lo ha visto ricoprire il ruolo di direttore della missione ONU per la lotta ad Ebola. Trilingue, laureato in tre università europee, conosce bene lo Yemen per avervi ricoperto il ruolo di coordinatore umanitario per le NU tra il 2012 e il 2014, dopo due missioni in Siria (2009-2012) e in Libia. Il nuovo inviato speciale può essere definito “uomo del serraglio” visto che lavora per le Nazioni Unite da 28 anni. Scelto per la sua lunga esperienza diplomatica, ha ricoperto importanti incarichi all’Unicef, l’Agenzia dell’ONU che si occupa di bambini, lavorando negli Stati Uniti, in Kenya e in Georgia. Oggi Cheikh Ahmed ritrova uno Yemen completamente diverso da quello che aveva lasciato. Nel 2012, il Presidente Abd Rabbo Mansour Hadi era incaricato di portare a buon fine il processo di dialogo nazionale dopo la destituzione del suo predecessore, Ali Abdallah Saleh. Ma l’obbiettivo di riconciliazione nazionale non è mais stato raggiunto, portando al caos degli ultimi tempi. Il primo compito del nuovo inviato speciale per lo Yemen è senza dubbio quello di rendere operativa la risoluzione delle Nazioni Unite votata lo scorso 14 Aprile, rivolta soprattutto agli Houti che devono ritirarsi dalle zone conquistate. Ma la ripresa del dialogo è molto complicata, basta considerare che Ismail Ould Cheikh Ahmed lavorerà in stretto collegamento con i membri del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite, con i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), i Governi della regione e altri partner per capire quanto l’equilibrio da trovare sia precario. Non solo dovrà tener conto dei meccanismi di politica interna allo Yemen (Houti, Al Qaeda, Daech, e un Governo completamente allo sbando), ma anche degli attori regionali, come Arabia Saudita e Iran che hanno fatto di questo povero Paese il teatro dei loro scontri. Inoltre, Mohamed al-Boukhaiti, membro del Consiglio politico Ansarallah, il movimento della ribellione, ha ribadito più volte che “il dialogo non poteva riprendere che con l’arresto dell’aggressione esterna”, precisando che “il dialogo doveva riprendere dal punto in cui si era fermato con Benomar”.

A testimonianza di quanto sia tutto molto complesso, in un video trasmesso qualche giorno fa, i combattenti del gruppo jihadista Daech (o Isis) affermano essersi completamente stabiliti in Yemen, e giurano voler uccidere tutti i ribelli sciiti Houti. Vestiti con uniformi militari e armati fino ai denti, i combattenti che appaiono in questa clip pretendono aver giurato fedeltà all’Stato Islamico e si autoproclamano “i soldati del Califfato in Yemen”.  In un altro messaggio pubblicato su Twitter, un gruppo che si presentava come la “brigata verde” dell’Isis in Yemen ha affermato aver preso di mira a Yarim un veicolo degli Houti, imbottendolo di esplosivo che ha causato “la sua distruzione e la morte dei cinque occupanti”. E’ la prima volta che un ramo dell’Isis agisce nella Provincia di Ibb. Degli jihadisti del gruppo avevano rivendicato diversi attacchi nelle Provincie di Sanaa e Lahj. Fino a poco tempo fa lo Yemen era la riserva di caccia di Al Qaeda, che se la prendeva regolarmente con gli Houti, considerati “eretici”. Ma, lo scorso 20 Marzo, l’Isis ha ufficialmente rivendicato gli attentati kamikaze che avevano causato la morte di 142 persone e ne aveva ferite 350 nelle moschee sciite di Sanaa.

Benomar  oggi che non è più in carica, accusa l’Arabia Saudita di aver sabotato l’accordo di pace in Yemen. L’ex inviato speciale delle Nazioni Unite ha rotto il silenzio durato due settimane con un’intervista pubblicata il 26 Aprile sul Wall Street Journal, e ampiamente ripresa dai media arabi. Il diplomatico marocchino accusa apertamente l’Arabia Saudita per aver impedito la firma di un documento che, secondo lui, era pronto per essere ratificato da tutte le parti in causa, Houti compresi. Il testo prevedeva soprattutto “il ritiro delle forze ribelli houti dalle città da loro occupate negli ultimo otto mesi a profitto di una forza governativa”. Ha precisato che sarebbe nata un’autorità provvisoria con poteri di esecutivo per guidare, con l’appoggio dell’ONU, la fase di transizione in attesa del ripristino definitivo della calma. Secondo Benomar, le fazioni armate yemenite avevano accettato di tenere delle sessioni di dialogo fuori del Paese. Il Marocco e il Qatar si erano candidati per ospitare questa fase degli accordi, sul modello libico. L’operazione “Tempesta della fermezza” avrebbe fatto abortire il progetto radicalizzando la posizione degli Houti. Le dichiarazioni di Jamal Benomar, ex prigioniero politico in Marocco, attestano delle cattive relazioni tra l’ex inviato dell’ONU e i dirigenti dell’Arabia Saudita. Un animosità reciproca. Il giorno dopo le sue dimissioni, i media del Golfo l’avevano accusato essere “vicino agli Houti”. A lui la replica davanti ad un blindato Consiglio di Sicurezza.

Ma non è finita. Lo Yemen si invita anche ai negoziati sul nucleare. Il Segretario di Stato americano John Kerry ha incontrato lunedì scorso il suo omologo iraniano Mohammad Javad Zarif in vista dell’accordo previsto per fine Giugno sul programma nucleare di Teheran, ma i due ministri hanno dovuto anche affrontare il conflitto in Yemen.  Da quando sono riprese le trattative sul nucleare iraniano, Washington assicura che i colloqui vertono principalmente su questo dossier. Tuttavia, i diplomatici americani riconoscono regolarmente che gli Stati Uniti e l’Iran – che non hanno relazioni diplomatiche da 35 anni – parlano anche di lotta all’Isis e più recentemente di Yemen. Prima di vedere Zarif infatti, Kerry aveva dichiarato essere convinto che “lo Yemen sarebbe stato tirato in ballo visto che l’Iran è evidentemente un sostegno degli Houti”, dei ribelli sciiti e precisato che avrebbe esortato il suo interlocutore iraniano ad aiutare a mettere fine alle violenze in Yemen, avvisando che il futuro del Paese non doveva essere deciso “da parti terze e intermediari”. La coalizione araba in Yemen ha mostrato la sua determinazione ad alleare pressione militare ad azione politica per ristabilire l’autorità “legittima” nel Paese in guerra. Nella crisi yemenita, Washington si pone accanto alle potenze sunnite del Golfo portando loro sostegno militare logistico e di intelligence.

La missione di Ismail Ould Cheikh Ahmed si intreccia a tutte queste variabili, tenere i fili del dialogo sarà un vero gioco di equilibri diplomatici che speriamo funzioni, anche perché la crisi umanitaria in Yemen diventa sempre più tragica.

©Futuro Europa®

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