Nucleare iraniano: forse accordo, forse no, dipende

La Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha affermato Domenica scorsa, che era preferibile non fare accordi sul programma nucleare di Teheran piuttosto che chiudere un cattivo accordo. Si è inoltre  mostrato ostile a negoziati in due tempi.

In Novembre, l’Iran e il Gruppo 5+1 (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina e Germania) si erano intesi per arrivare ad un accordo politico entro il 31 Marzo, accordo da perfezionare nei dettagli tecnici volti ad un accordo globale non oltre il primo Luglio 2015. Ma questi negoziati sembrano essere impantanati, e fanno temere un nuovo procrastinare delle discussioni, già prolungate ben due volte. L’ayatollah Khamenei, che ha l’ultima parola sul dossier nucleare in Iran, si è però mostrato poco incline ad una agenda divisa in due tappe. “L’esperienza mostra che è un modo (utilizzato dalle grandi potenze soprattutto) di cavillare su ogni dettaglio (…) Qualsiasi accordo va concluso in una sola tappa e deve comprendere quadro generale e dettagli. Deve essere chiaro e non soggetto a interpretazioni”, ha dichiarato il numero uno iraniano sul suo sito Khamenei.ir. Qualche ora prima a Monaco, il Ministro degli Affari Esteri iraniano aveva già puntualizzato che un nuovo rinvio della data finale non era nell’interesse di nessuno. Mohammad Javad Zarif ha incontrato il suo omologo americano John Kerry a due riprese lo scorso weekend in margine alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, e il negoziatore in capo iraniano non ha ritenuto utile un ulteriore rinvio dei negoziati. “Se non riusciamo ad ottenere un accordo, non sarà la fine del Mondo. Ci avremo provato, avremo fallito (…) troveremo altre procedure”, ha dichiarato dopo un incontro di 90 minuti con Kerry, colloquio non annunciato e sul quale nulla è filtrato.

Le grandi potenze esigono che l’Iran riduca la sua capacità nucleare per impedire che la Repubblica Islamica disponga un giorno di una bomba atomica. Teheran, che smentisce qualsiasi velleità militare del suo programma, rivendica il suo diritto ad una filiera nucleare per uso civile completa e chiede l’annullamento totale delle sanzioni economiche internazionali che penalizzano ormai da anni la sua economia. I negoziati sono ripartiti nel 2013 sulla base di un accordo interinale che congelava alcune attività sensibili dell’Iran in cambio di un parziale alleggerimento delle sanzioni. Da Teheran, Khamenei ha fatto sapere che l’Iran non era pronto ad accettare un accordo a qualsiasi prezzo, anche se si dichiarava favorevole al proseguimento dei negoziati per arrivare ad un accordo che funzionasse. “Meglio non concludere nessun accordo che  concludere un accordo in contraddizione con gli interessi della Nazione”, ha dichiarato. Gli interessi della Nazione, un punto molto importante che non guardano solo al nucleare, c’è molto di più e questo lo sa bene Hassan Rohani, ormai in guerra aperta contro il falchi del regime. La posta in gioco è altissima, sia a livello di politica interna iraniana, che di politica internazionale.

Zarif ha già fatto sapere agli Stati Uniti che il fallimento dei colloqui sul programma nucleare potrebbe portare anche alla fine politica del Presidente iraniano Hassan Rohani, considerato dagli Occidentali come “moderato”. E’ grazie a lui che tra Iran e Stati Uniti qualcosa si è ripreso un embrione di dialogo. Fonti iraniane affermano che il capo della diplomazia iraniana ha più volte condiviso le sue preoccupazioni con il Segretario di Stato americano John Kerry e con alcuni leader occidentali. Queste però non sono state pubblicizzate. Qualcuno le considera una manovra tattica che mira a dare un margine di manovra maggiore a Teheran. In effetti il fallimento dei colloqui potrebbero effettivamente portare all’evizione politica di Rohani, soprattutto se si tiene conto del temerario discorso tenuto dal Presidente iraniano lo scorso 4 Febbraio durante una conferenza che vedeva riuniti centinaia di economisti e uomini d’affari iraniani. In quella occasione Rohani ha “osato” chiedere una diplomazia più aperta e pragmatica con l’Occidente, e non solo per quanto riguarda il programma nucleare – per il quale ha comunque chiesto un compromesso serio – ma per tutta una serie di questioni. Rohani ha sviluppato le sue argomentazioni in modo così diretto e ha sfidato così apertamente i partigiani della linea dura del regime iraniano che non possono esserci che due vie d’uscita: l’accettazione ufficiale di queste idee, che avrebbe come conseguenza un rovesciamento spettacolare della politica iraniana, o la fine della sua carriera. L’entusiasmo trapelato per la buona riuscita di questi accordi  era tangibile. Il futuro dell’economia iraniana, oggi ferma per via delle sanzioni, e il suo posto nella comunità internazionale dipendono molto da come finirà la questione di questo dossier nucleare. Ma Rohani arriva a chiedere di più, mettere fuori gioco le strutture statali e ricorrere ad un referendum. In fondo il popolo iraniano l’ha eletto perché le cose cambino, e il 4 Febbraio ha chiaramente giocato la carta della popolarità della quale gode. Ricordiamo che il suo pubblico era fatto di uomini d’affari che hanno sofferto molto le sanzioni: gli applausi sono stati numerosissimi.

Certo Rohani ha corso grandi rischi, o meglio sta correndo grandi rischi, vista la posizione dell’esercito e dei Guardiani della Rivoluzione, le due forze più potenti del Paese e le più ferme sulla loro posizione riguardo il programma nucleare dell’Iran. Per quanto concerne Khamenei , la sua posizione è ambigua, afferma che armarsi con il nucleare è un affronto all’Islam, ma chiede che il parco centrifughe passi da 10mila a 19mila, un numero molto alto per una utilizzazione “pacifica” del nucleare. Ma Khamenei ha anche perfettamente recepito il malcontento che esacerba sempre più gli stati d’animo degli industriali, della classe media e dei giovani che, grazie ad Internet sanno tutto. Anche il regime rischia. La situazione è molto, molto complessa, anche per i rapporti con il “Grande Satana”: come “giustificare” l’apertura verso l’Occidente? Come controllare i dissidenti? Quale legittimità potrebbe ancora avere il regime? Il presidente conservatore del Parlamento iraniano, Ali Larjani, ha reso noto che era pronta la proposta di legge che obbligherebbe il Governo iraniano a riprendere l’arricchimento di uranio ad un livello più elevato qualora gli Occidentali, in particolare gli Sati Uniti, imponessero nuove sanzioni contro l’Iran. Questa proposta è una risposta alla minaccia dei Repubblicani, che ormai controllano il Congresso, di votare un testo che preveda l’automatico aumento delle sanzioni economiche contro Teheran qualora i negoziati fallissero. Obama, che tiene enormemente a questo accordo, che gli permetterebbe di essere ricordato dalla Storia molto più che qualsiasi accordo nel sudest asiatico, ha a sua volta minacciato i Repubblicani di porre il suo veto a qualsiasi nuova legge. C’è poi la minaccia di Netanyahu, che ha promesso farà di tutto per far fallire un accordo che giudica “cattivo e pericoloso”, anche se, a quanto pare, la sua stella si sta offuscando.

Iran e Stati Uniti hanno moltissimo da guadagnare in termini di politica estera, prestigio, credibilità (e non solo) da questo accordo che non è più un “semplice“ accordo sul nucleare.

©Futuro Europa®

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