Turismo, risorsa trascurata

Il turismo vale il 10 per cento del Pil nazionale e impiega oltre due milioni di persone. Eppure la sua gestione risulta spesso improvvisata, se consideriamo che dal turismo dipende un lavoratore italiano su 10. In assenza di una strategia sul turismo, l’Italia è scartata sempre di più nelle scelte degli stranieri. Paradossale, in un Paese che potrebbe aumentare il Pil solo puntando sulla sua cultura, ma la colpa  è anche di noi italiani: scortesi, diamo troppi “bidoni”, offriamo servizi mediocri se non scadenti.

Dai dati recentemente diffusi dall’Osservatorio nazionale del turismo, l’incasso del comparto nel 2013 è stato di 33 miliardi di euro, un miliardo in più rispetto al 2012. Ma a spartirsi la fetta più grossa della torta sono soltanto quattro regioni – Lazio, Lombardia, Veneto e Toscana – che incassano il 60 per cento. Come scrive Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, mentre nel 1950 un turista internazionale su cinque veniva da noi, oggi viene uno su ventitré. “Se negli ultimi tre anni si sono affacciati alle frontiere 137 milioni di turisti mondiali in più rispetto al 2010, noi siamo rimasti al palo. O siamo andati addirittura indietro”. Tra le cause di tale declino c’è il fatto che “il comparto si avvale da anni di rendite di posizione ancorate al grande ‘turisdotto’ delle città d’arte o delle aree costiere”. Ma non solo. C’è pure la mancanza anche di una “cultura dell’ospitalità”.

Passando poi ai dati del Ministero dei Beni Culturali, si nota che negli ultimi dieci anni, mentre i turisti nel mondo crescevano di circa 50%, i visitatori di tutti i nostri musei, siti archeologici, gallerie d’arte statali messi insieme (tolti la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige e la Sicilia, anch’essa al palo) sono cresciuti da 30 milioni e mezzo a poco più di 38. Con un aumento del 25%: la metà. Se poi contiamo solo i paganti, l’incremento è ancora più basso: da 14 milioni e mezzo a 17 e mezzo: +22%. Vanno benissimo il Colosseo e i Fori imperiali (+79%), molto bene Venaria Reale che dieci anni fa era ancora in fase di restauro, bene la galleria degli Uffizi e il Corridoio Vasariano (+25% ma troppa gente non può ospitarne) e benino nonostante tutti i nostri dolori Pompei, che cresce del 17%. Mettono i brividi, al contrario, i numeri, ad esempio, di Villa Adriana.

Il sud, in particolare, ha una capacità di attrazione molto bassa: il 13 per cento. E mentre il Ministro Dario Franceschini vara il decreto sul turismo – convertito in legge il 28 luglio – per risalire la china bisogna fare i conti con i piani decennali dei competitor più agguerriti: francesi e spagnoli. Scrive Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera: “Il turismo non è mai stato, e non è tuttora, un’opzione di sviluppo economico presa seriamente in considerazione dalla politica”. Tutta colpa del Palazzo? No: il dossier infila infatti il dito nella piaga della mancanza anche di una “cultura dell’ospitalità”. Troppi bidoni ai turisti, troppi disservizi, troppa scortesia verso chi viene a trovarci. Come se tutto ci fosse dovuto in quanto “Paese più bello del mondo”. La nostra capacità di accoglienza vale tra i 45 e i 50 milioni di turisti all’anno, contro i 57 della Spagna e gli 80 della Francia. Con la riforma del Titolo V della Costituzione, sono le Regioni ad avere la competenza esclusiva sul turismo: da qui la difficoltà per lo Stato italiano di riorganizzare il settore. Il piano strategico “Italia 2020”, elaborato da Piero Gnudi durante il governo Monti, prevede il ritorno di queste competenze allo Stato. Per cambiare, quindi, bisognerebbe cambiare la Costituzione.

La scarsa competitività a livello internazionale dei servizi offerti ai turisti è sicuramente uno dei problemi principali da risolvere: non vi sono ancora sufficienti infrastrutture di ricezione e le poche presenti non sempre sono in grado di competere con l’estero; il rapporto qualità-prezzo non è favorevole, così come insufficiente è la promozione del territorio. Fattori, questi, che hanno provocato la perdita del primato europeo nel turismo.

Ancora, non ci sono soldi per interventi essenziali ma si sperperano milioni di euro in progetti che non saranno mai realizzati. Sono sprecate anche le risorse umane: numerosi archeologi, storici dell’arte e restauratori si trovano per anni a essere impiegati in lavori poco remunerativi e poco conformi alle loro competenze. Non solo. Le imprese del turismo hanno anche subito un attacco sul fronte dei prezzi, a causa della riduzione del potere d’acquisto, certo, ma soprattutto per il diffondersi della filosofia “low cost”, che ha iniziato a governare il mercato, stabilendo nuovi e più bassi livelli di remunerazione. Il consumatore ha percepito la possibilità di pagare di meno e l’ha incorporata nel proprio profilo di domanda: nel turismo non sarà tanto facile ritornare ai livelli di prezzo precedenti la crisi.

A una domanda di qualità che inevitabilmente cresce, si è quindi andata a legare una attitudine nuova nei confronti del costo: in una parola, la ricerca costante di un maggior valore. Le potenzialità sono enormi. Ma come vengono trattati gli ospiti? Moltissimi visitatori, spaventati dai prezzi, vanno dormire fuori mano rispetto alle città storiche. In Italia, insomma, è purtroppo poco l’interesse a valorizzare e proteggere quel patrimonio culturale che potrebbe, dovrebbe, costituire la prima risorsa economica. E forse, come dice il rapporto del Touring, “se l’Italia credesse di più nel turismo, sarebbe un Paese migliore”.

©Futuro Europa®

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